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"Il primo re", la promessa mantenuta di una storia antica che parla all’uomo di oggi

Mattia Pasquini

Non delude le aspettative "Il primo re", film di Matteo Rovere con Alessandro Borghi, star di Suburra, e Alessio Lapice, dal 31 gennaio nelle sale. Il film propone un racconto emotivo ed epico del mito di Romolo e Remo, concentrandosi soprattutto su quest’ultimo, dimenticato dalla storia, e tralasciando la componente fantastica per un racconto crudo e sanguinario di un periodo poco conosciuto della storia di Roma. Non la nascita dell’impero, dunque, come ci aveva ingenuamente anticipato la pubblicità, ma il racconto del rapporto tra due fratelli, uniti dallo stesso sangue, che il sangue separa, gettando il seme per la nascita della città che dominerà il mondo.

Le splendide location del Lazio più selvaggio e incontaminato si sposano bene con una ricostruzione storica e antropologica accurata. L’utilizzo della lingua protolatina, ricreata con l’aiuto di semiologi della Sapienza (per quanto ibridata con ceppi indo-europei) può intimorire lo spettatore, che teme di assistere a un film documentaristico e noioso, e si trova invece catapultato in una realtà cruda e violenta, in cui la lingua rispecchia fedelmente l’arcaicità delle usanze e delle ambientazioni. Il mondo di Romolo e Remo è un mondo brutale, che i fratelli vogliono risollevare, con la forza delle armi e dell’orgoglio. Ma se Remo, autoproclamatosi re, crolla sotto i colpi del destino che cerca con tutte le sue forze di evitare, a prevalere alla fine è Romolo, personaggio figlio del suo tempo e custode del mos maiorum, capace di unire sotto una stessa lingua, spada, costumi, leadership, realtà e popoli diversi. Remo, invece, con la sua arroganza e la sua sfida agli dei è un personaggio estremamente moderno, e per questo dimenticato dalla storia, che ricorda solo i vincenti. Ma non viene cancellato dai cuori degli spettatori, che si rivedono in quell’eroe sprezzante della religione, che vuole farsi da sé, che non teme né gli dei né il destino, e che viene da esso sopraffatto e sconfitto.

Fabio LovinoMatteo Rovere, apprezzato produttore di Smetto quando voglio e regista Veloce come il vento, torna con questo film che si rifà apertamente a classici come Apocalypto, Valhalla Rising, Revenant, costruendo a Il primo re un’identità che gli consente di non sfigurare di fronte a produzioni economicamente più sostanziose. Ottima fotografia di Daniele Ciprì, che trae la sua forza dalla bellezza delle location. Rovere fa dell’uso della luce naturale, degli effetti speciali pratici e dell’accurata ricostruzione storica una dichiarazione di intenti, spogliando la sua direzione da qualunque artificio, facendo parlare la natura, i corpi, le voci. La forza del film è proprio nell’artigianalità, nella riproduzione accurata di un mondo scomparso, nella forza animale dei protagonisti, nel concerto di forze interpretative e maestranze tecniche che contribuiscono a creare un piccolo grande gioiello del cinema storico e d’azione italiano. Spicca Alessandro Borghi, capace di bucare lo schermo con la sua fisicità prestante e una recitazione che non si fa intimidire dal limite linguistico e arriva come uno schiaffo allo spettatore. Grande prova anche per Alessio Lapice, dalla recitazione misurata e intensa, complementare a quella dirompente di Borghi, e che ci auguriamo di vedere più spesso d’ora in poi sul grande e piccolo schermo. Ottima prova anche per Tania Garribba, attrice di provenienza teatrale e qui sacerdotessa capace di recitare con gli occhi e con gesti contenuti e precisi.
Il primo re conferma il recente trend positivo del cinema italiano, con questa opera prodotta quasi interamente nel nostro paese, con la forza di giovani registi e interpreti. Una storia che racconta un capitolo dimenticato e forse mai esistito della nostra storia, ma che non smette di parlare all’uomo di oggi.

Giulia Zennaro 31/01/2019