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Il cinema racconta lo sport

Che siano vere e proprie biografie di atleti o trame che utilizzano lo sport come sottotesto o luogo privilegiato della narrazione, il genere cinematografico sportivo, nel corso dei decenni, ha raccolto pregevoli prodotti audiovisivi che hanno raccontato pagine indelebili entrate di diritto nell’immaginario collettivo.
Dalla “partita della morte” in Fuga per la vittoria a quei sudati metri di corsa per ribadire un’ideale in "Momenti di Gloria", lo sport e gli avvenimenti storici si sono intrecciati indissolubilmente con il fine primario di dar voce alle grandi gesta, agli atti più rivoluzionari, dimostrando che questi possono derivare anche da atleti.
Se Jesse Owens non avesse vinto quelle Olimpiadi del 1936 (Race - Il Colore della Vittoria) o il SudAfrica non avesse trionfato nei Mondiali di Rugby nel 1997 segnando, molto più che simbolicamente, la definitiva fine dell’apartheid (Invictus), il contesto storico e sociale sarebbe lo stesso? Il cinema, infatti, viene incaricato di esporre, e spesso favoleggiare, i valori connaturati allo sport. Non solo biografici ritratti, ma anche narrazioni che assumono lo sport come pretesto per narrare altro, per raccontare storie di sacrifici e di autentica ostinazione, di situazioni e personaggi fittizi che incarnano le virtù della persistente dedizione. Il celebre monologo motivazionale di Al Pacino in "Ogni Maledetta Domenica" o il riscatto di un tormentato giocatore di football in "Quella sporca ultima meta" sono solo alcuni esempi di come la tematica è divenuta chiave interpretativa di variegati contesti.

Leggende reali ma non solo, quindi. Il cinema si è anche inoltrato in altri terreni fertili, da cui trarre ispirazione per i nuovi miti del domani, finti ma non per questo meno importanti.
Tra loro figura il popolare pilota automobilistico francese, Michel Vaillant, Nato sulle pagine del fumetto di Jean Graton nel 1957. Abile e coraggioso, il protagonista dovrà affrontare una gara che si preannuncia ben diversa dalle altre. Una storia dai numerosi twist, che regge perché basata su una delle avventure più famose del personaggio, ma dai toni e attori poco convincenti o stravolgenti. Tutto il contrario di un altro adattamento, stavolta basato su un anime giapponese.
Nel 2008, Lana e Lilly Wachowski riportano in vita un franchise della loro infanzia, “Speed Racer”. Una pellicola pesantemente criticata per il suo aspetto atipico, rispetto al panorama cinematografico statunitense. Location, regia e fotografia completamente stravaganti, le quali però, nella loro bizzarria, rispecchiano il materiale di base. La lotta tra Speed, un aspirante pilota colmo di sogni e speranze, e un uomo d'affari grigio che gestisce con mano di ferro la più importante industria automobilistica del mondo. Uno scontro di valori morali che metterà a dura prova l'onesta del protagonista. Un piccolo capolavoro ancora oggi incompreso.

Se si passano ad analizzare i biopic sportivi, invece, una tendenza interessante è l’apertura del genere all’universo femminile. È solo da qualche anno, infatti, che l’industria di Hollywood ha iniziato a produrre film che si incentrano esclusivamente sulla vita e sulla carriere di atlete e campionesse realmente esistite. Fino ad ora, infatti, si era raccontato solamente di personaggi di finzione (Million dollar baby, Sognando Beckham).
Nel 2017 vedono la luce i due film attualmente più riusciti e significativi in tal senso: La battaglia dei sessi (Jonathan Dayton e Valerie Faris) e Tonya (Greg Gillespie).
Billie Jean King (Emma Stone), protagonista della prima pellicola, viene ritratta non solo in qualità di sportiva ma anche in qualità di donna, impegnata nella battaglia per la pari retribuzione dei compensi, dentro e fuori il campo da tennis. Omosessuale dichiarata, ad oggi si batte ancora contro sessismo e discriminazione.
Un biopic non convenzionale, che mina dalle fondamenta gran parte degli stilemi del genere e che contribuisce a creare una nuova narrazione del “mito” dello sportivo.
Ma la destrutturazione totale dell’aura “sacrale” della quale molti sportivi sono attorniati, avviene in Tonya, incentrato sulla figura della pattinatrice Tonya Harding. Sboccata, irriverente, irascibile, vittima di violenza da parte della madre e del marito, non particolarmente elegante: esattamente l’opposto dello sportivo rappresentato come eroe dalla maggior parte dei film sullo sport. Ma soprattutto protagonista di uno scandalo che la vede coinvolta nell’aggressione di una sua compagna.
Due pellicole che sanciscono il canto del cigno della rappresentazione celebrativa del mondo dello sport sul grande schermo.

Miriam Raccosta, Matthieu Silvani, Claudia Silvestri