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I racconti dell'Eco: Vinicio Capossela Nel Paese dei Coppoloni

"Rispetto al tempo siamo tutti emigranti. Tutti emigriamo dall'infanzia, poi dalla giovinezza, poi dalla vita stessa. Solo il ricordo e il racconto hanno la forza di far sopravvivere in noi il mondo che continuamente andiamo perdendo, con l'esperienza della vita" (Vinicio Capossela)

“Chi siete? A chi appartenete? Cosa andate cercando?”. È il mantra che accompagna i 105 minuti in cui Vinicio Capossela narra il mito irpino, le terre dell’Eco e i sacri animali che si annidano nel sentiero della Cupa. “Nel paese dei Coppoloni” è la resa visiva di dieci anni di ricerca, un racconto filmico della civiltà contadina che tutti ricordiamo e ri-conosciamo senza esserci stati.
La sapiente regia di Stefano Obino e la fotografia di Aldo Anselmino tratteggiano panorami pasoliniani – l’inquadratura del paese dei Coppoloni ricorda quella di Orte in una famosa sequenza dello scrittore bolognese – e mostrano Capossela nelle vesti di sciamano armato di chitarra e mietitore di racconti, quelli degli altri, raccolti in fascine da portare sulle spalle a mo' di ali tra mulattiere, vicoli e boschi, appresso alle parallele disegnate dalla ferrovia ormai in disuso e il fiume Ofanto.
È una sorta di via crucis quella del rabdomante pangermanico, che dai crucistrada si apre a un’Odissea dialettale. La narrazione è infatti caratterizzata dalla lingua, che si fa radice portabile e portatile. È una lingua da abitare, è la madeleine proustiana che dà il senso dell’appartenenza, dai canti in cerchio delle mammenonne alle affabulazioni del barbiere istrione Sicuranza, fino agli inni in latino ingarbugliato e impastato col dialetto del coro maschile guidato da Matalena. Fa tutto parte di una sacralità collettiva: i rugosi anziani di Calitri e dintorni cantano assieme “canti che transumano, cambiano lingua e pelle ma non il moto dell'anima che l'ha generati”; si infondono reciproco coraggio come vecchi marinai a bordo di un galeone ormai deserto, e restituiscono all'uso contemporaneo – pasticciato da pale eoliche e discariche – una coralità che sospende il tempo e cuce lo strappo che la conoscenza e l'esperienza provocano tra noi e chi ci circonda.
Nelle dodici video-capitolazioni che compongono il film, l'artista si fa corpo e offre allo spettatore il correlativo oggettivo dei racconti racchiusi nel suo romanzo. Qui i personaggi profetici della pagina scritta trovano voce e carne, dal tenore Cicc' Bennett' (quel Ciccillo che compare in “Al veglione”, brano del 1996) ad Armando Testa di Uccello, un po' Omero e un po' Tiresia.
Assieme alla Natura, “posto in cui il sacro s'è rifugiato dopo essersela svignata dai luoghi cui era destinato”, presenza fondamentale è quella degli animali, posticce metafore dei vizi umani. Come il Pumminale, brano del nuovo disco presentato dopo il film e corredato da un cortometraggio a dir poco felliniano diretto dal polacco Lech Kowalski. È un uomo mannaro, che di notte va “per le male strade” e invece di trasformarsi in lupo, diventa maiale.
Il paese dei Coppoloni è la “Winesburg Ohio” al contrario di Capossela. Un ritorno alla civiltà che però non ha vissuto, di cui non rimane che l'algia, il dolore per qualcosa che non ci è appartenuto del tutto. È la casa da cui ci si è separati, l'alma mater perduta, un sentimento ancor prima che un luogo. L’epica di una terra costruita attorno a un fiume, l’Aufido tauriforme oraziano, e un osso, l’Appennino, viene ornata da un racconto filmico visionario e da un corredo sonoro – i brani del nuovo disco “Canzoni della Cupa” e le esibizioni live dall'ultimo Calitri Sponz Fest – immaginifico, a metà tra blues, folk e stilemi di morriconiana memoria.
Il paese dei Coppoloni è “l'altra parte della vita”, per dirla con Céline. È dove finisce quello che ci sopravvive, nella memoria nostra e in quella degli altri. Con il suo stile ormai riconoscibile, l'aura mistica e il linguaggio ancestrale, Capossela racconta una terra crepata dal “tremamento” del 1980, in cui l'unico segno del tempo che passa è un orologio fermo in un vicolo.

Daniele Sidonio 29/01/2016

Foto: Valerio Spada

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