In questo intervento il regista e critico cinematografico Mario Sesti approfondisce gli aspetti tecnici e più squisitamente artistici messi in atto per la realizzazione del documentario Posti in piedi. Il magico accordo tra musica e cinema (2023), un omaggio al cinema italiano che ripercorre la storia del rapporto tra musica e cinema, con interviste a personaggi che hanno saputo padroneggiare l'intreccio tra film e canzoni, come Luciano Ligabue e i fratelli Manetti, e con un materiale di repertorio che spazia dal melodramma ai musicarelli degli anni Cinquanta e Sessanta, che hanno visto come protagonisti artisti del calibro di Gianni Morandi, Albano Carrisi, Nino D'Angelo, Caterina Caselli e Rita Pavone. Un viaggio che rievoca le platee che cantavano in sala e un’appassionante ricerca sulle innovazioni straordinarie dei modi di filmare la musica. Grazie alla voce narrante dell’attrice Chiara Francini, il docufilm esplora un secolo di cinema italiano a partire dai film che mettono in scena l’opera fino ai musical e alle innovative performance artistiche che sfruttano le potenzialità dell’intelligenza artificiale. Il documentario, prodotto da Combo International in collaborazione con Rai Documentari, scritto da Steve Della Casa e Antonio Ferraro, si avvale di un ricco archivio storico e di interviste a personalità di spicco, da Pupi Avati a Giuseppe Tornatore, per rievocare il profondo legame tra la musica e il cinema italiano, delineando così la sua evoluzione nel tempo.
Il regista, introducendo la visione del film agli allievi del Master in Critica giornalistica all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, afferma: “Quello che state per vedere è a tutti gli effetti qualcosa che avrebbe potuto essere un saggio critico…”.
In effetti, per il metodo di ricerca e la chiarezza espositiva, Posti in piedi si avvicina alla categoria del critofilm, tipologia esistente fin dal cinema muto, ma diffusa in maniera sporadica. Fu lo storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti a coniare il termine nel 1948, per indicare realizzazioni filmiche in cui l'interpretazione delle opere d'arte è proposta attraverso il movimento della macchina da presa, le luci, il montaggio, così da fornire non un tradizionale documentario, ma un vero e proprio testo critico realizzato secondo le logiche del linguaggio cinematografico.
A questo proposito, Mario Sesti approfondisce il discorso legato alla contaminazione tra cinema e pittura, delineando un vero e proprio stile di composizione estetica dell’immagine: “Per catturare le testimonianze degli intervistati nell’allestimento della scenografia mi sono servito di una doppia camera e ho impiegato una tecnica tipica della pittura fiamminga, scegliendo di collocare un oggetto rappresentativo della personalità dell’intervistato in primo piano, per fornire eloquenza a tutto il resto. Poiché la nostra percezione visiva, in genere, esalta tre livelli (primo piano, piano intermedio e fondo campo) ho disposto un oggetto interessante su ognuno di questi livelli. Nel caso di Ligabue in primo piano troviamo un piatto d’uva, nel piano intermedio è collocato, appunto, l’intervistato, e nel fondo campo sono disposti alcuni oggetti emblematici del suo personaggio, come gli stivali”.
La sperimentazione creativa del regista di Posti in piedi prosegue, poi, con l’impiego dell’intelligenza artificiale, finalizzata alla creazione di immagini in movimento: “Negli anni Settanta era in voga il cosiddetto “cinema verità”, cioè una forma di fanatismo che superava l'opposizione fra cinema romanzesco e cinema documentaristico, un cinema di autenticità totale, vero come un documentario ma col contenuto di un film romanzesco, cioè col contenuto della vita soggettiva. Oggi, l’idea del documentario è un’idea diversa, più libera, che risponde a esigenze dettate dallo spirito del tempo. I documentari attuali, infatti, usano spesso l’animazione per spiegare, per raccontare, per ricostruire. Ho deciso di ricorrere all’uso dell’intelligenza artificiale, avvalendomi della professionalità di Gianluca Abbate, artista e regista di film sperimentali, per ricreare visivamente un dato che ho raccolto in qualità di giornalista. Nell’elaborazione delle testimonianze è stata spesso citata dagli intervistati l’immagine di un pubblico anni Cinquanta in sala che partecipava, cantando, alla proiezione dei musicarelli. Il mio intento è stato quello di ricreare questa immagine, non potendomi avvalere di registrazioni d’archivio. Desideravo fortemente restituire un segnale visivo di un pubblico che cantasse all’interno di una sala cinematografica”.
Attraverso il montaggio, il movimento di macchina, l’impiego di immagini di sintesi create dall’intelligenza artificiale, Posti in piedi diventa il “correlativo oggettivo” di un particolare percorso di lettura del rapporto tra cinema e musica, di un metodo critico puntuale in grado di comunicare in maniera innovativa il dialogo tra diversi approcci legati al tema, costruendo una nuova forma di consapevolezza.
Nell’affascinante intersezione tra critica cinematografica e regia, Sesti ci svela quanto la sua formazione di critico abbia influito sulle scelte tecniche e di montaggio, evidenziando il legame profondo che esiste tra l’intima conoscenza della parola scritta e la capacità di trasferirla in immagini vivide. Infatti, quando gli chiediamo un approfondimento in merito all’uso della tecnica del jump-cut, lui ci risponde così: “È una tecnica capace di catturare l’attenzione. È come se aumentassi la velocità di ciò che stavo dicendo, come se in un saggio scritto ricorressi all’uso di un font diverso. L’esigenza narrativa mi ha portato a compiere delle scelte volte a gestire l’attenzione dello spettatore per l’intera durata del documentario. Ho optato per una soluzione retorica di costruzione del discorso molto convenzionale, con la creazione di una cornice narrativa che inizia con un ragionamento di Pupi Avati, il quale terminerà solo nella conclusione. Una tecnica che si può usare anche nella scrittura di un articolo, che garantisce sempre un risultato. La tecnica della gestione dell’incompletezza, che genera una tensione in grado di sostenere l’attenzione dello spettatore. In questa struttura in cui il tessuto è continuamente spezzettato esiste una struttura macroscopica che determina unità e composizione. In questo tipo di documentario le testimonianze hanno un montaggio molto complesso, realizzato con una tecnica di cucito, di tessitura continua. Per far capire quanto la mia capacità di fare del cinema sia legata alla mia formazione di critico giornalista: io “sbobino” tutto. Ho la fortuna di lavorare con mio figlio, che è un montatore e nel corso del tempo abbiamo sviluppato questo metodo: io sbobino tutto il materiale e faccio il montaggio su carta. Quindi le parole, per me, sono molto importanti, per me le parole continuano ad essere una guida”.
Una delle sfide principali nel passaggio dalla critica scritta alla regia di documentari, come ha sottolineato Sesti, è la capacità di adattare la narrazione scritta alla visualità del cinema. La critica, un tempo confinata alla carta stampata, trova nuova vita nelle immagini dinamiche e nelle testimonianze dirette, permettendo una diffusione più ampia e variegata delle idee e garantendo un maggior engagement del pubblico.
Dalle parole alle immagini: il documentario come "saggio visivo" nella metodologia di Mario Sesti
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