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Il cinema e la denuncia della corruzione: uno sguardo attraverso tre film basati su eventi reali

Numerosi studi in ambito sociologico, economico, criminologico che si occupano di corruzione sottolineano la difficoltà di definire in maniera univoca questo fenomeno, sia perché sempre in evoluzione, sia perché esso può coinvolgere un vasto numero di comportamenti e di soggetti, sia pubblici che privati. Essenzialmente la corruzione si manifesta quando chi detiene il potere abusa dell’autorità riconosciuta per perseguire il proprio interesse personale anziché il bene della società. Isaia Sales, saggista e politico italiano, ha evidenziato che la corruzione implica ripetutamente tre tipi di soggetti: rappresentanti dello Stato che perseguono i propri interessi, politici che infrangono le stesse leggi che hanno promosso, e imprenditori che si comportano come predatori nei confronti dello Stato. La realtà dell’homo oeconomicus, la civiltà in cui viviamo non è unicamente la civiltà del benessere, dell’opulenza, dell’utile, del profitto, del capitale, ma è soprattutto “civiltà del denaro”. L’unico vero Dio del mondo occidentale, scrive lo psicanalista statunitense James Hillman. È evidente che il primo livello per concepire e sviluppare una efficace strategia di contrasto del fenomeno è rappresentato proprio dalla maturazione di una approfondita conoscenza di esso, delle sue cause, delle sue diverse manifestazioni e conseguenze. La riflessione sulle ricadute negative della corruzione per lo Stato e il tessuto sociale, è fondamentale per promuovere la coscienza dell’elevato disvalore del fenomeno, quale elemento essenziale per sostenere un’efficace azione di cognizione. In questo senso, il problema della corruzione ha sempre trovato un fertile terreno di espressione nell’universo cinematografico. Attraverso le lenti di registi e sceneggiatori, si possono esplorare le complessità della faccenda, esaminando le sue radici e le brutali conseguenze sulla società. Abbiamo selezionato tre film basati su eventi reali – “Serpico” (1973), “Un eroe borghese” (1995) e “The Whistleblower” (2010) – i quali offrono tre diverse prospettive sulla questione.

Serpico (1973) – L’integrità del singolo contro la corruzione endemica
Diretta da Sidney Lumet e tratta dalla storia vera dell’omonimo poliziotto italoamericano, la pellicola racconta la battaglia di Frank Serpico, in servizio nel dipartimento di polizia di New York dal 1959 al 1972, contro la corruzione dilagante all’interno del New York City Police Department.
Interpretato magistralmente da Al Pacino, Serpico è un uomo che si rifiuta di conformarsi alla norma della tangente e della corruzione. La cecità e la connivenza dei superiori con il sistema renderanno difficoltosa non solo l’attività di poliziotto, ma addirittura la sua stessa vita privata. Quando il caso esploderà, Serpico verrà emarginato dai suoi colleghi che, durante una missione, cercheranno di provocarne la morte.
Serpico fu il primo agente nella storia del NYPD a farsi avanti per riferire e testimoniare apertamente su una diffusa corruzione sistemica che ammontava a milioni di dollari. Conclusa la sua missione, si ritirò il 15 giugno 1972, un mese dopo aver ricevuto la più alta onorificenza del Dipartimento di Polizia di New York City: la Medaglia d’Onore.

Un eroe borghese (1995) – La corruzione nelle sfere alte
Questo film italiano, diretto da Michele Placido e tratto dal romanzo omonimo di Corrado Stajano, racconta la drammatica vicenda dell'avvocato Giorgio Ambrosoli e delle sue indagini sulle attività finanziarie illecite del banchiere siciliano Michele Sindona, delle cui banche era stato nominato commissario liquidatore. Sostenuto solo dal maresciallo della Guardia di Finanza Silvio Novembre, Ambrosoli scopre numerosi giri d'affari illeciti e una rete di corruzione finanziaria che coinvolge importanti figure politiche e appartenenti al mondo degli affari. Determinato a proseguire le sue indagini, l'avvocato sarà freddato da un sicario l'11 luglio 1979.
«Era un film che molti considerarono di denuncia e che uscì dopo il crollo della prima Repubblica, in un’epoca nella quale ci s’interrogava sul periodo storico appena trascorso» ricorda Fabrizio Bentivoglio, l’interprete di Ambrosoli. «La sua figura colpì l’immaginario collettivo perché molti ci videro dei tratti comuni con i fatti di cronaca più recenti, con le indagini della magistratura e la necessità di portare a galla i lati oscuri di un sistema vittima della corruzione».

The Whistleblower (2010) – La lotta contro la corruzione internazionale
In inglese il termine whistleblower identifica un individuo che lavora in un’impresa o in un ente (pubblici o privati) e che denuncia illeciti commessi al suo interno, riportandoli alle autorità competenti, all’opinione pubblica o anche alla stessa organizzazione, se sono previsti meccanismi per raccogliere queste segnalazioni. Il “soffiare il fischietto” è una metafora del ruolo di arbitro assunto da chi richiama l’attenzione su attività non consentite affinché vengano bloccate. È una parola con connotazioni positive, poiché descrive un ruolo che esemplifica una virtù civile, ma che non è esente da rischi e ritorsioni. La pellicola, diretta da Larysa Kondracki è basata sull’esperienza vissuta in Bosnia da Kathryn Bolkovac, interpretata da Rachel Weisz. La trama si concentra sulla figura di Kathryn, una poliziotta statunitense reclutata come peacekeeper dalle Nazioni Unite in Bosnia al termine della guerra. Appena giunta in Bosnia, Kathryn si imbatte un oscuro traffico sessuale che coinvolge ragazze minorenni. Un’attività clandestina che sembra essere tacitamente tollerata e addirittura facilitata da alcuni membri della comunità internazionale, inclusi appaltatori privati e membri delle forze di pace. Profondamente turbata da ciò che scopre, Kathryn decide di indagare e portare alla luce questi crimini, nonostante le minacce e gli ostacoli che incontra.

Chiara Ricciardi, 14/05/2024

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