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Venga a prendere il caffè da Madame Royale: due film per capire Ugo Tognazzi

Come spiegare a un profano la grandezza di una figura come quella di Ugo Tognazzi, data la mole della sua filmografia? Elena Mosconi, promotrice delle celebrazioni per il centenario della sua nascita, ha fatto una scelta ben ponderata: proiettare due commedie risalenti allo stesso mese dello stesso anno, il 1970, eppure radicalmente diverse nei toni e nel riscontro economico, che danno la misura di ciò che Tognazzi era in grado di fare nel pieno della sua maturità recitativa. L’occasione è stata la rassegna Questa specie d’attore (21-23 marzo), la cornice quella del Cinema Filo di Cremona, città natale dell’unico lombardo tra i cosiddetti “colonnelli” della commedia all’italiana. I titoli scelti, infine: Splendori e miserie di Madame Royale di Vittorio Caprioli e Venga a prendere il caffè da noi di Alberto Lattuada.
La diversità dei due film è presto spiegata. Madame Royale è il primo film italiano ad avere come protagonista un personaggio omosessuale, il corniciaio Alessio Pandora, soggiogato da un luciferino commissario in quel di Roma. Venga a prendere il caffè da noi – presentato a Cremona nell’edizione restaurata dal Centro Sperimentale di Cinematografia – racconta la vicenda di un rigido burocrate di provincia, Emerenziano Paronzini, sconfitto dalla lussuria nell’estenuante ménage con tre sorelle bigotte originarie di Luino.
Madame Royale è una storia originale, scaturita dalla fantasia del regista e interprete Vittorio Caprioli, coadiuvato in fase di sceneggiatura dall’allora moglie Franca Valeri (non accreditata) e da due penne prestigiose come Enrico Medioli e Bernardino Zapponi, rispettivamente collaboratori di Visconti e Fellini. Il film di Lattuada è invece tratto dal romanzo di Piero Chiara La spartizione, adattato dal regista con lo scrittore luinese e due critici: Tullio Kezich e Adriano Baracco.
Venga a prendere il caffè da noi è stato uno dei campioni al box office della stagione 1970-71, aggiudicandosi il nono posto tra i film più visti col ragguardevole incasso di un miliardo e 300 milioni. Madame Royale ha guadagnato esattamente un miliardo di meno, rivelandosi uno dei pochissimi passi falsi di Tognazzi al botteghino in un periodo altrimenti molto fortunato. A pregiudicarne l’esito commerciale è stato anche il divieto ai minori di 18 anni, vissuto da Caprioli come una sonora ingiustizia; Vittorio ed io, scritto dalla seconda moglie di Caprioli, Virginia, racconta come il magistrato della commissione di censura si fosse giustificato dicendo al regista che non poteva essere altrimenti: un omosessuale “preso sul serio” non era uno spettacolo ammissibile.
L’esito del divieto era stato l’esclusione del film dalle sale parrocchiali, ma Madame Royale – come Caprioli aveva obiettato al magistrato – era tutt’altro che scabroso, sicché non aveva neanche potuto contare sul successo di scandalo. Il film di Lattuada era uscito con un più mite divieto ai minori di 14 anni, nonostante il tema pruriginoso: il Paronzini di Tognazzi, deciso a “mettere radici” dopo una vita consacrata alla carriera, sposa una zitella di mezza età, Fortunata Tettamanzi, vergine e inibita; subito dopo le nozze, però, inizia una relazione anche con le sorelle della moglie, l’intraprendente Tarsilla e l’infantile Camilla. Secondo la filosofia di Paronzini, prendendo da tre donne poco desiderabili la loro parte migliore (i capelli di Fortunata, le gambe di Tarsilla e le mani di Camilla) si ottiene la compagna perfetta.

L’aspetto curioso, scendendo più in profondità nel confronto tra i due film, è che Paronzini è completamente disinteressato all’aspetto riproduttivo del matrimonio; Fortunata è probabilmente sterile, e questo fa gioco al marito, il quale vede il matrimonio come il mezzo per raggiungere le tre C elencate dal suo maître à penser, l’antropologo positivista Paolo Mantegazza: carezze, caldo e comodo. Alessio Pandora, il protagonista di Madame Royale, ha invece un istinto paterno (anzi, materno, come direbbe lui) molto più sviluppato: ha cresciuto come se fosse la propria figlia una bambina lasciatagli in fasce da colui che era il suo compagno negli anni Cinquanta, un trombettista poi ucciso dalla malavita.
Una volta cresciuta, Mimmina (così si chiama la figlia putativa) tratta Alessio come una pezza da piedi, frequenta dei giovinastri, posa nuda per riviste osé e rimane incinta. Quando si affida a una “mammana” per abortire e ha un’emorragia, la ragazza finisce in riformatorio. Manda così in pezzi il mondo ordinato – e tutto sommato ordinario – di Alessio, fatto di avventure erotiche al Colosseo e festicciole en travesti con gli amici (Madame Royale è il suo alter ego femminile). Per questa ragione il protagonista si trova costretto a mettersi al servizio del succitato commissario, che lo costringe a fare da delatore in cambio di fantomatici aiuti a Mimmina. Per amor di quest’ultima, Alessio perde tutte le tre C di Mantegazza. La generosità, infatti, al di là dell’orientamento sessuale, è ciò che più lo differenzia da Emerenziano Paronzini.
Ed è anche più generosa l’immedesimazione di Tognazzi nel personaggio di Alessio, tanto che il figlio Ricky – nel documentario La voglia matta di vivere – ha ricordato di averlo visto tornare a casa completamente calato nella parte, durante il periodo delle riprese. L’interpretazione è un raffinato impasto di manierismi femminili, armi consolidate di un repertorio comico che Tognazzi nobilita con la propria empatia; la passività di Alessio ricorda quella del protagonista di Sissignore (1968), ottima terza prova da regista di Tognazzi, in cui incarnava l’autista Oscar, parafulmine per tutte le malefatte del proprio datore di lavoro come Alessio lo è rispetto a quelle di Mimmina.
Per Paronzini, spregevole e calcolatore, Tognazzi fa ricorso a un distacco molto maggiore, adottando quella “maschera di gesso” che il critico Maurizio Grande (più volte evocato nei convegni organizzati da Mosconi) aveva individuato come sua cifra stilistica peculiare. L’unico tratto che accomuna Paronzini e Alessio è la perdita di controllo che rende agra la loro vita, parafrasando l’omonimo film di Lizzani interpretato dallo stesso Tognazzi. Paronzini sovrastima le proprie forze, travasando il proprio delirio di onnipotenza in performance erotiche che lo porteranno alla paresi. Alessio, invece, rimane completamente tagliato fuori dal proprio ambiente a causa della sudditanza sempre maggiore verso il commissario/burattinaio, il quale lo sacrificherà senza rimorsi.
Ciò che lega i due film è l’approfondimento dei protagonisti portato alle estreme conseguenze: con la collaborazione di due registi come Lattuada e Caprioli, diversi ma penetranti, e con l’apporto di cast tecnici di eccezionale valore, Tognazzi costruisce due personaggi ad altissima definizione. Di loro sappiamo davvero tutto: da dove vengono, quali sono i loro gusti e le loro aspirazioni. Grazie a loro, capiamo di riflesso quale fosse la massima aspirazione di Tognazzi: stupire provocando e provocare stupendo.

Andrea Meroni 25/03/2022

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