Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 631

Benvenuti nella giungla: il seguito che Jumanji non meritava

Tra un treno che arriva alla stazione di La Ciotat spaventando il pubblico di un caffè parigino, l’Odissea di un monolite che si cala in un pianeta dominato dalle scimmie e un padre e un figlio che cercano una bici rubata nella Roma del dopoguerra, nella storia del cinema c’è anche un film del 1995 in cui due bambini trovano un misterioso gioco da tavola che libera leoni e scimmie e risucchia esseri umani, e scoprono che non è un semplice gioco da tavola, è Jumanji. Jumanji2
Jumanji è stato un film importantissimo per chi è nato tra gli anni ’80 e ’90, uno di quelli che rimangono nell’immaginario collettivo e che diventano fonte inesauribile di citazione. “Jumanji, un gioco che sa trasportar chi questo mondo vuol lasciar”, “Nella giungla dovrai stare finché un cinque o un otto non compare”. Tutti, ma proprio tutti gli appartenenti alla generazione degli attuali 25-35enni, hanno citato queste due frasi almeno una volta nella vita.
Ben consapevoli di questo, e sull’onda di quella che è diventata ormai prassi (prendere un vecchio “marchio” di enorme successo e riproporlo) si è arrivati a questo Jumanji – Benvenuti nella giungla.
Pensato come un Blockbuster, questo “secondo capitolo” (anche se è inesatto definirlo tale, perché più che collegamenti ci sono citazioni del primo) presenta tutte le caratteristiche che un film del genere deve avere. È spettacolare, con i suoi inseguimenti, i burroni, le cascate e gli animali feroci, ha un cast con almeno un paio di grandi nomi (Dwayne “The Rock” Johnson e Jack Black) e un super lieto fine mieloso da far ingolosire Winnie the Pooh.
L’idea di base di questo Jumanji è quella di ribaltare la prospettiva: se nel ’95 abbiamo assistito alle vicende nel nostro mondo, lasciando all’immaginazione i posti selvaggi dove Alan Parrish ha vissuto per più di vent’anni, nel 2017 siamo dentro il gioco, nella giungla, appunto. Anche il gioco in sé è diverso, niente più dadi, perché Spencer, Fridge, Bethany e Martha vengono risucchiati da una sorta di Nintendo anni ’90. L’esperienza che si troveranno a vivere e giocare è dunque in tutto e per tutto quella di un videogame, con tre vite a disposizione, skills personalizzate per ogni personaggio e livelli sempre più difficili da superare.
Un film che porta il nome Jumanji non deve certo preoccuparsi della verosimiglianza, ma l’espediente videogioco è stata una sorta di tana-libera-tutti: gli sceneggiatori hanno potuto godere della massima libertà, sapendo di poter calcare la mano quanto volevano, perché se in Jumanji i fatti accadevano sulla Terra, e dovevano quindi essere soggetti a certe leggi, in Benvenuti nella giungla no.
Il cinema è un’industria, e quindi non bisogna stupirsi dell’esistenza di progetti come questi, ma c’è da fare una distinzione. Il recente Blade Runner 2049, era un film che riprendeva un illustre nome del passato cinematografico e lo declinava in una diversa chiave, oggi. Alle spalle di quel progetto c’è Denis Villeneuve, un grande regista che si è sì servito del vecchio film probabilmente soprattutto per motivazioni di marketing, ma che aveva molti contenuti, visivi e tematici, da inserire.
Nel caso di Jumanji – Benvenuti nella giungla, allo scopo economico non sembra corrispondere nessun tipo di altra esigenza.
Il cinema è un’industria, ma il cinema che è solo industria è pericoloso e deleterio.
Jumanji è una cosa seria, e proprio non si meritava questo “seguito”.

Alessio Altieri 12/12/2017

 

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM