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"Alita - Angelo della battaglia" di Robert Rodriguez: dal manga al grande schermo tra distopia e cyberpunk

2563. In un distopico futuro cyberpunk, la grigia metropoli di Iron City è sovrastata dall’ombra della ricca città di Zalem, che fluttuante e idilliaca la sommerge con i suoi scarti di ferraglia. In questa immensa discarica urbana, dai sobborghi ispanici e costantemente immersa nella luce di un sole al tramonto, il Dottor Deisuke Ido, Christoph Waltz - un po’ Geppetto, un po’ Wall-E - trova quel che resta di una giovane ragazzina cyborg dal cervello umano a cui dona un nome, Alita e un corpo con nuovi circuiti. La giovane non ha memoria ma, mentre diventa una cacciatrice di taglie, si innamora di un ragazzo dolce e premuroso, e si scopre campionessa di Motorball, ha modo di far luce sulla sua identità e su una missione da portare a termine. Una lotta contro un nemico che inizialmente prende le sempre eleganti sembianze (colletto alla coreana incluso) di Mahershala Ali ma che poi si rivela ben più subdolo e onnisciente.

Alita Angelo Battaglia 2

Robert Rodriguez dirige, James Cameron scrive. "Alita - Angelo della battaglia" (in sala dal 14 febbraio) ha esso stesso, come la sua coraggiosa protagonista, un concept da film cyborg, un corpo ibrido che nasce da un tentativo di mescolanza di due mondi tanto diversi quanto entrambi genuinamente pop. Due modi di declinare il cinema dell’eccesso. Quello tecnologicamente pionieristico di Cameron e quello pulp, tutto azione sfrenata e risse a colpi di machete di Rodriguez. Già in partenza dunque, il progetto nascondeva il rischio di una saturazione di elementi, a cui si aggiungeva l’immaginario - distopico, post-apocalittico, cyberpunk - del manga cult di Yukito Kishiro da cui è tratta la storia. Si spiega così in parte, la lunga e difficile gestazione di un progetto, risalente a circa vent’anni fa e che vede tra gli altri il nome di Guillermo Del Toro a fare da collante tra regista e sceneggiatore. Il film, essenzialmente un romanzo di formazione per un pubblico giovanile già pensato per dar vita a un apposito franchise, non riesce nella pratica a far dialogare armonicamente i due comparti. Come Zalem che sovrasta e controlla il destino di Iron City, Cameron, anche in veste di produttore, lascia poco spazio al regista, tanto che la marca autoriale di Rodriguez viene relegata alle sole scene d’azione, tra l’altro le più riuscite. Per il resto, come Alita sui suoi rollerblade, l’universo stratificato di Cameron sfreccia via in maniera smisuratamente velocemente, saltando da un episodio all’altro senza troppa soluzione di continuità e lasciando in chi guarda la percezione di essere in pieno binge watching di una serie non proprio riuscita. Se la scelta del cast generale e quella di utilizzare per Rosa Salazar, interprete di Alita, la tecnologia CGI per enfatizzarne volumetricamente gli occhi, omaggiando così il manga di partenza, appaiono ben pensate, la fretta nel declinare la storia non valorizza gli interpreti. Ne consegue che alcuni personaggi, come quello interpretato da Jennifer Connelly, vengono inizialmente caricati per poi essere dimenticati nell’oscurità del fuori campo.

Angela Santomassimo 07/02/2019

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