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Al Teatro Grassi di Milano il Festival Trame D’autore lascia spazio alla proiezione di “Blind Shaft” di Ling Yang

Il Festival Trame d’Autore riprende fiato e fa una pausa con un intermezzo cinematografico, pur continuando a parlare cinese e lo fa, proponendo agli irriducibili temerari spettatori milanesi, la proiezione in versione originale con sottotitoli in inglese, della pellicola “Blind Shaft” di Ling Yang. Il film vincitore dell’Orso d’Argento nel 2003, è tratto dal romanzo “Legno sacro” di Liu Qingbang. E la proiezione del film è preceduta da una interessante conversazione tra l’Editore Maurizio Gatti della O barra O Edizioni e Barbara Leonesi, che ha curato la traduzione italiana del testo, e la giornalista e critica Renata Pisu, che già nel lontano 1957 andò a vivere a Pechino. Un incontro importante quello svoltosi nello Spazio Conferenze del Chiostro Nina Vinchi, perché introduce il pubblico a quella che è la lettura di “Legno sacro” e alla visione del film. Certo si sa, sono rari i casi in cui un film eguaglia la grandezza del romanzo da cui è tratto.
Song Jinming e Tang Zhaoyang sono due minatori cinesi, scellerati senza esitazioni che hanno ideato la truffa perfetta da mettere in atto in un paese quasi completamente privo di controlli di sicurezza sul lavoro: determinato un individuo solo in cerca di occupazione, lo convincono a farsi passare per loro parente in modo da farlo assumere nella miniera dove anche loro lavorano, poi lo uccidono, facendo credere la morte sia stata accidentale, causata da una frana. Per evitare che l’incidente sia reso pubblico ricattano il direttore della miniera, che paga in cambio del loro silenzio. Un giorno i due, che potrebbero vagamente essere il prototipo de “il gatto e la volpe” s’imbattono in Wang, un giovane ingenuo sedicenne originario di un piccolo villaggio. Sembra la vittima perfetta ma, mentre stanno mettendo a punto il loro piano, le cose si complicano. Uno dei furfanti si affeziona allo sprovveduto ragazzo anche perché gli ricorda il figlio.
Il film, al di là dell’Orso d’Argento al Film Festival Internazionale di Berlino, ha vinto numerosi premi. Indubbiamente una storia cruda e realistica, di certo spietata appare nel romanzo più che nel film. Ambientata nel mondo delle miniere cinesi di carbone, un settore redditizio ai confini della legalità, basato sull'assenza di sicurezza e sullo sfruttamento di milioni di contadini che cercano di sfuggire alla miseria. I due minatori Song Jinming e Tang Zhaoyang hanno imparato negli anni a trarre profitto da questo crudele sistema. Attraggono i braccianti con la promessa di un lavoro e ne riscuotono il risarcimento. Ma qualcosa con il giovane Wang va storto e da un racconto spietato, dal cinismo di fondo che anima la vicenda, dall’oscurità dei pozzi delle miniere, si apre uno spiraglio ai sentimenti umani.
Un film, che comincia dalla seconda parte del romanzo, senza dubbio forte, anche se non potente come la scrittura secca, essenziale del testo originario. Nel racconto infatti il lettore ha la sensazione che gli venga scaraventato contro un masso. Il film racconta una realtà atroce, restituendo allo spettatore la cupa animalità dei personaggi del romanzo. Non c’è nulla di ridondante e alla base del film non c’è una sceneggiatura imponente. E come se il film volesse parlare più per immagini, con dei piani stretti sui volti dei protagonisti o con dei totali sulle miniere. Forse il tentativo del regista è quello di voler trasporre in immagini l’essenzialità delle parole del romanzo. Un esperimento cinematografico senz’altro arduo, perché tenta di tradurre sul grande schermo un testo fondato su un concetto di scrittura bassa capace di elevarsi a grande letteratura.
Il regista si è dovuto necessariamente confrontare con uno scrittore che ha conosciuto in profondità la vita in tutta la sua durezza. E’ sceso nel basso della vita per raccontare una realtà molto cruda per farci riflettere su determinate realtà, dove il fenomeno della popolazione fluttuante ovvero il movimento migratorio dalle campagne alla città, aveva creato non pochi disagi a chi aveva la residenza nei centri rurali. Basti pensare alle tasse salate pagate per mantenere i figli nelle scuole in città. Un romanzo agghiacciante, di una cattiveria spietata ma con un finale come nel film che lascia spazio forse alla redenzione del senso di umanità. Da qui la sua potenza e la sua grandezza.

Blind Shaft, visto al Piccolo Teatro Grassi il 14 settembre



tratto dal romanzo breve “Legno sacro” di Liu Qingbang
con Li Yixiang, Wang Shuangbao, Wang Baoqiang
regia di Ling Yang
In lingua originale con sottotitoli in inglese

Adele Labbate 15/09/2015