“Secessione e Avanguardia”: una mostra per raccontare l’arte in Italia prima della Grande Guerra
Con la mostra “Secessione e Avanguardia. L’arte in Italia prima della Grande Guerrra 1905-1915”, la Galleria Nazionale D’arte Moderna intende approfondire un momento di particolare fervore innovativo all’interno della cultura artistica e letteraria italiana, immediatamente precendente la prima guerra mondiale.
“Secessione” e “Avanguardia”, due concetti, due istanze apparentemente antitetiche, che finiscono per incronciarsi nell’epoca in cui la stessa idea di “immagine” subiva profonde rivoluzioni (si pensi al neonato cinematografo, che proprio nel 1905 e proprio a Roma, intercettava la meraviglia del primo “homo cinematographicus”, con il film “La Presa di Roma”, proiettato da Filoteo Alberini a Porta Pia, nell’ambito delle celebrazioni del 20 settembre).
Come era già avvenuto a Monaco, a Berlino, a Vienna, gruppi di artisti italiani sceglievano di associarsi nel comune segno della separazione, intesa come divisione antagonistica, ma anche come spinta innovativa intorno a concetti modernisti, in cui però non tardarono a penetrare elementi di avanguardia.
L’allestimento curato da Massimo Mininni parte dal 1905, anno in cui Gino Severini e Umberto Boccioni oraganizzano nel Ridotto del Teatro Nazionale di Roma una “Mostra dei rifiutati” che, seppure non riuscì a contrapporsi con vigore alle esposizioni annuali degli “Amatori e Cultori”, costituì il primo germe di opposizione.
Attraverso otto aree tematiche (oltre 170 opere), il percorso (che include anche preziosi restauri, tra cui quello della “Fonte della palude” di Duilio Cambellotti) racconta i sentimenti di “socialismo umanitario” di artisti come Giuseppe Pellizza da Volpedo, Giovanni Cena, Duilio Cambellotti e Giacomo Balla, cui si aggiungono Gaetano Previati, Medrado Rosso, Giovanni Segantini.
Le esigenze di rinnovamento, istanze che accomunano i diversi artisti accolti dalla mostra, si polarizzarono tra il 1908 e il 1915 a Venezia e a Roma, nelle manifestazioni di “Ca’ Pesaro” e della “Secessione Romana”. Nella successione delle prime sale (quindici in totale) dell’esposizione si può cogliere l’intrecciarsi delle due manifestazioni a cui si aggiungono le attività espositive “eversive” della Fondazione Bevilacqua La masa, che nel 1913 vennero sospese perché troppo in contrasto con le attività della Biennale veneziana: da quell’esperienza emersero Gino Rossi, Tullio Garbari, Ubaldo Oppi, Vittorio Zecchin, Guido Marussig e, sopratutto Arturo Martini e Felice Casorati. I riferimenti alla storia dell’arte figurativa inclusi nel percorso della mostra attraverso le diverse opere vanno dall’ impressionismo, alla secessione viennese, dal primitivismo al paesaggismo nord europeo, da Gauguin al sintetismo di Pont-Aven, fino al “nuovo” rappresentato nelle opere futuriste di Boccioni. “Ca’ Pesaro” e “Secessione” rappresentano quindi i poli di un’avanguardia moderata, contrapposta all’avanguardia radicale del Futurismo, che intese incidere pesantemente sulla psiche umana, sul linguaggio artistico, sulla realtà politica.
Tutta la mostra racconta di intrecci, contaminazioni, fervori e contrasti di respiro europeo, gli stessi che poi finiranno annientati con l’incombere di quella guerra spaventosa, promossa da alcuni degli stessi artisti coinvolti nell’idea che l’interventismo fosse necessario, quando non addirittura esaltante, come raccontano le “dimostrazioni patriottiche”, quella nuova iconografia dei racconti di guerra di Cangiullo, Marinetti e Balla contrapposti alla poetica del silenzio e dell’assenza, presagio del dramma imminente, del primo De Chirico.
(Adriano Sgobba)
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