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“Farruscad e Cherestanì”, il sogno è vita

Il prestigio è un trucco che gioca a nascondino. Del semplice filo di spago diventa un paio di baffi o un bastone si tramuta in uno scettro perché l’unica domanda possibile è: “come andrà a finire?” È tutto finto e lo prendiamo per tutto vero. Non riusciamo a capire quando, ma è successo. Proprio lì davanti a noi.

“Farruscad e Cherestanì”, regia di Marco Di Costanzo, indica con forza gentile che la magia è negli occhi di chi ascolta. Il resto è fiato sospeso. Presentata nel maggio scorso, ancora in forma ridotta di studio, alla Pergola di Firenze, la nuova produzione del Teatro dell’Elce ha debuttato in prima nazionale ne “Il Sole d’Inverno”, la nascente stagione teatrale di Fiesole a cura di Teatro Solare. In scena Daniele Caini, Erik Haglund e Tatiana Muntoni, tre giovani attori all’esordio sulle scene da professionisti, hanno dato voce, corpo e anima a una fantasmagoria teatrale che strabilia per dinamicità e inventiva.

Sono gli ultimi rimasti di un’immaginaria compagnia, il Pubblico Teatro di Maiano, nata per allietare gli scalpellini al ritorno dal lavoro. L’arte a quel tempo andava verso il pubblico, lo scolpiva come pietra cavandogli ciò che non pensava di avere dentro di sé. Adesso, però, sembra non essercene più bisogno e le erbacce si sono prese tutto: i tre attori sono riusciti a salvare solo due grandi bauli, poveri come muri sbrecciati, ma ricchi di voglia di continuare a esistere per raccontare la loro storia con le parole d’amore e sortilegi tra il principe Farruscad e la bellissima fata Cherestanì.

Tratto dalla fiaba teatrale “La donna serpente” di Carlo Gozzi, lo spettacolo nello spettacolo recupera la Commedia dell’Arte per fonderla alla fiaba. Su un tappeto che è il rettangolo magico dove commedia e dramma, verità e illusione si scambiano una fitta “corrispondenza”, Caini, Haglund e Muntoni vanno come Peter Pan a caccia dell’ombra che restituisca loro i pensieri felici di quando erano ragazzi e bastava credere per fare. Cantano, ballano e recitano tenendo lo sguardo alto sull’orizzonte della fantasia. La povertà dei mezzi non svilisce l’atto creativo, anzi, lo inizia alla forza e all’intraprendenza, perché impone di considerare ciò che ha lasciato la “piena” della crisi – di tutte le crisi che un uomo può attraversare – come una miniera di opportunità inestimabili per ricominciare la propria vita, sera dopo sera, storia dopo storia.

Entro i confini della fiaba, quindi, “Farruscad e Cherestanì” disegna il territorio fermo e preciso di quale dovrebbe essere il compito dell’artista oggi: aiutare la costruzione di relazioni genuine, fondate sull’essere, non sull’avere. Come la compagnia Pubblico Teatro di Maiano per gli scalpellini. Come i tre giovani interpreti dello spettacolo, che provengono dagli storici “Centri di Attività Teatrale” del Comune di Fiesole e con questa produzione, che si è svolta a Fiesole e qui ha debuttato, hanno restituito al loro territorio quanto di meglio sono diventati.

La realtà quotidiana, però, fa resistenza agli assalti dell’immaginazione creatrice e lo si vede bene dal fatto che i vestiti da sera degli attori, i papillon, la scollatura, le scarpe basse in tela nera con cui si sono presentati al pubblico a inizio spettacolo, sono sempre visibili, anche sotto i costumi fiabeschi. È un attrito che Di Costanzo ci mette davanti come uno specchio: riconoscere lì dentro le stesse rughe del tempo sui nostri volti è il primo passo per accettare ciò che non possiamo cambiare. Niente è ritrovato finché non si è davvero perduto.  

 

(Matteo Brighenti)

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