VIE 2012: Gli Incauti - Hamelin
L’ottava edizione di VIE Scena Contemporanea Festival si è chiusa con “Hamelin”, opera firmata da Juan Mayorga e riportata in scena dalla compagnia bolognese Gli Incauti. Hamelin è la città in cui i fratelli Grimm ambientarono la fiaba il “Pifferaio magico”: la “storia di una città che non ama i suoi bambini”, per usare le parole del drammaturgo spagnolo che da quella ha preso spunto per raccontare un caso di pedofila. Il testo del 2006 che la regia di Simone Toni e l’interpretazione della compagnia Gli Incauti ha investito anche di spunti metateatrali, su binari spesso divergenti e talvolta opposti: se da una parte si abbattono i confini dello spazio scenico, dall’altra la figura didascalica – l’Acotador, Federica Castellini – sembra accompagnare gli attori durante una prova dello spettacolo, delineandone/delimitandone le azioni. Ma il debutto inizia fuori-scena: da un furgoncino, parcheggiato sul retro del Teatro delle Passioni, gli interpreti scaricano qualche costume e pochissimi oggetti di scena e approntano l’ufficio del giudice Montero (Stefano Moretti). È tutto calcolato e anche se non si tratta di una conferenza stampa, ci si trova subito nel mezzo di un’inchiesta, di fronte a diapositive che non rappresentano prove ma costituiscono indizi piuttosto sospetti. Il sospettato è Paolo Riva, la presunta vittima Gianmaria (10 anni), l’accusa: abuso sessuale su minore. Doveroso qui sottolineare la qualità attoriale di Luca Carboni, abilissimo a farsi carico anche delle gravità e dell’incertezze sottese all’attribuzione della colpa ma anche delle inadeguatezze delle soluzioni, nel doppio ruolo Riva-Gianmaria. D’altronde «questa è un’opera che parla del linguaggio, di come si forma e di come si ammala», è una storia che sfugge dalle mani di chi conduce le indagini come da quelle delle parti in causa, rispetto alle quali non offre certezze di colpevolezza né spiragli di salvezza. Alla sospensione di giudizio “Hamelin” si configura così come la punta di un iceberg di ben altre storie, talvolta inenarrabili, rimettendo in discussione i pregiudizi, le idiosincrasie e i vicoli ciechi su cui la lingua (familiare, pedagogica, giuridica, giornalistica ma anche teatrale) tenta di risolvere la complessità dell’umano.
(Ines Baraldi)
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