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"Angels in America": al Valle in scena l''epopea tragica di Kushner


Parole come “capolavoro” andrebbero sempre utilizzate con estrema parsimonia, ma nemmeno bisognerebbe aver paura di chiamare le cose con il loro nome.

"Angels in America – Fantasia gay su temi nazionali" è il pluripremiato testo del drammaturgo americano Tony Kushner, ora in scena al Teatro Valle (dall'8 al 15 febbraio) per la regia di Elio de Capitani e Ferdinando Bruni. Un'opera imponente, sette ore e mezzo di spettacolo diviso in due parti - “Si avvicina il millennio” e “Perestroika” - che dipingono un affresco composito, una Divina Commedia dei giorni nostri, con tanto di angeli, visioni e profeti laici.

Kushner costruisce questa moderna epopea tragica ambientandola nella New York di metà anni Ottanta, nella vorace America reaganiana dove, accanto all'arrivismo e a una crescente iniquità sociale, a dilagare è anche l'epidemia di AIDS, che colpisce soprattutto la popolazione omosessuale.

In scena, le vicende dei personaggi si intrecciano con temi quali la politica, la religione, l'identità sessuale, l'abbandono, la droga, la malattia. Prior Walter (Ribatto), wasp trentenne fidanzato con l'ebreo Louis (Petranca), scopre di aver contratto il virus e glielo comunica. Il giovane, sconvolto, non riesce ad accettare la notizia poiché incapace di sopportare la sola idea del decadimento fisico, e decide di abbandonare il proprio compagno fra i sensi di colpa. Intanto Joe Pitt (Giammarini), avvocato repubblicano e mormone, vive una vita infelice accanto ad Harper (Arman), valium-dipendente e frustrata dai continui rifiuti del marito, dilaniato a sua volta dalla mancata accettazione della propria omosessualità.

E' invece un magnifico Elio De Capitani a dare il volto sulla scena a Roy Cohn, spietato avvocato e faccendiere braccio destro di McCarthy, responsabile della condanna a morte di Julius ed Ethel Rosenberg, presunte spie russe giustiziati nel 1953, in piena Guerra Fredda. Personaggio controverso e realmente esistito, ebreo anti-semita e gay omofobico, Cohn tiene celate a tutti le proprie preferenze sessuali, fino a quando non contrae anche lui il temibile virus dell'HIV. Cohn rappresenta nella pièce una sorta di incarnazione del Male, che non trova redenzione nemmeno al momento della morte, quando a turbare le sue visioni giunge proprio il fantasma di Ethel Rosemberg.

«L'America non è un paese per malati: se ti ammali, sei fuori dal giro», sbraita rivolto al suo protégé Joe Pitt, e in quell'urlo scagliato fra i rantoli di dolore c'è – oltre alla critica dell'autore a un sistema sanitario che cura solo chi ha i soldi per farlo – il ritratto di un uomo dolente, feroce, giunto allo stadio terminale. In definitiva, il ritratto dell'America reaganiana, certo, ma anche di un'America non così distante nel tempo, quella di Bush Jr.

Nonostante l'evidente drammaticità del testo, la regia di De Capitani e Bruni riesce a restituirne anche il lato ironico, magistralmente incarnato dal personaggio di Belize (Matteini), ex drag-queen e migliore amico di Prior, dispensatore di saggi consigli e battute irresistibili.

Ecco dunque che «Angels in America», nell'adattamento che ne è stato fatto (la prima volta nel 2007) dalla compagnia del Teatro dell'Elfo può, ormai senza ombra di dubbio, definirsi un classico.

Una frenetica giostra di vicende – suddivise in tanti piccoli “quadri” che rendono il tutto molto fluido a dispetto della durata – cui corrisponde la scena scarna ma studiatissima di Carlo Sala, in cui si inseguono rapidi cambi di scenografia, porte segrete, letti sfatti, muri infranti e le proiezioni di Francesco Frongia, che di volta in volta ci trasportano da Central Park ad un immaginario Antartide, danno ritmo a una narrazione trascinante, in grado di commuovere, emozionare e restituire al teatro il suo senso primigenio: l'incanto.


(Lucilla Chiodi)

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