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Greil Marcus a caccia del segreto di “Like a Rolling Stone”, il capolavoro di Bob Dylan

«Quel colpo di rullante risuonò come se qualcuno avesse sfondato a calci la porta della tua mente», disse Bruce Springsteen dell’attacco di “Like a Rolling Stone”. Un colpo di batteria che schiude un mondo, crea una storia che si fa leggenda. Le parole sembrano quelle di una fiaba, di un mito (“c’è stato un tempo…”), ma il suono che ti travolge è l’annuncio che qualcosa di nuovo ha avuto inizio. Quella che sempre di nuovo viene eletta come la più grande canzone rock di tutti i tempi, “Like a Rolling Stone” appunto, e che di recente la rivista “Uncut” ha definito “l’evento culturale” (comprendendo libri, film, musica…) che “ha cambiato il mondo”, compie 40 anni. Era l’estate del 1965 quando il poeta del rock Bob Dylan, riuscì a racchiudere in quel brano il segreto della sua arte. Segreto che ora il critico musicale Greil Marcus cerca di indagare nel bel libro “Like a Rolling Stone. Bob Dylan, una canzone, l’America”, appena tradotto in italiano e pubblicato da Donzelli. Marcus è uno dei padri fondatori del giornalismo musicale, colui che più di tutti ne ha creato il linguaggio, ne ha strutturato il territorio, ne ha codificato metodi e forma. La sua conoscenza enciclopedica della materia come della storia e della politica americana gli permette di spaziare con disinvoltura e leggerezza in percorsi carichi di fascino. Si era già occupato di Dylan nel fondamentale volume “La repubblica invisibile”, in cui aveva indagato la straordinaria rilettura del patrimonio musicale americano fatta nei “Basement Tapes”, i nastri della cantina. Il nuovo volume vuole invece sfidare quella che certo è una delle migliori canzoni di Dylan, ma anche una tra le più sfuggenti ed enigmatiche. Il confronto è avvincente. Marcus inquadra la sua ricerca ricostruendo il clima politico e culturale del periodo preso in esame. Il 1965 è l’anno della morte di Malcom X, degli scontri tragici di Watts, un ghetto di Los Angeles; è l’anno delle marce per il diritto di voto dei neri in Alabama ed è l’anno in cui gli Stati Uniti intensificarono il loro impegno militare in Vietnam. Kennedy era morto, ricorda Marcus, e la domanda che soffiava nell’aria era “cosa sta accadendo?”. Le speranze di pochi anni prima lasciavano intravedere il controcanto della paura e l’attesa di un cambiamento politico e sociale stava scivolando nel timore del futuro. Sul versante musicale l’atmosfera era altrettanto incandescente. La musica non è mai solo colonna sonora. E’ parte viva e attiva del suo tempo. In quei mesi il mondo del pop stava vivendo una sorta di delirio, dove Beatles, Rolling Stones, Beach Boys facevano a gara per realizzare la canzone migliore. Le parole di Dylan, incise dai Byrds, arrivarono in cima alle classifiche. Un fatto nuovo, per certi versi spiazzante. Tracciata la cornice, Marcus ci racconta l’avvicinamento di Dylan alla canzone. Nel giugno del 1965 Dylan è di ritorno da una serie di acclamati concerti in Gran Bretagna. Concerti acustici, solo sul palco ad intonare gli inni che lo hanno reso l’astro del folk. Ma Dylan è insoddisfatto, “prosciugato” dalla monotonia delle serate, dalla ripetitività delle esecuzioni. Questa atmosfera stagnante sta trasformando i suoi brani in “canzoni da organetto”, gesti ripetitivi che narcotizzano la sua creatività con l’abitudine. Rinchiuso nella sua casa di campagna, Dylan scrive di getto una poesia senza titolo, “quasi un attacco di vomito”. Un testo lungo oltre dieci pagine. Dylan ricorda così: “…non aveva un nome, era solo un ritmo messo su carta…non l’avevo mai pensato come una canzone , finché un giorno ero al pianoforte, e mi ha cantato dalla carta….era come nuotare nella lava…con le braccia appese ad un albero di betulla”. “Like a Rolling Stone” emerge da quel lungo testo sorprendendo Dylan e lasciandolo entusiasta e quasi sgomento per la scoperta. “Non avevo mai scritto niente di simile prima e all’improvviso compresi che era quello che dovevo fare. Dopo averla scritta non mi interessava più scrivere un romanzo o un dramma. Perché era una categoria completamente nuova. Voglio dire che nessuno prima aveva veramente mai scritto delle canzoni”. Leggendari sono i due giorni in studio per la registrazione della canzone. Marcus ricostruisce con cura filologica le diverse takes ed è sorprendente che in due giorni solo due volte i musicisti siano riusciti a portare a termine il brano, e la prima è la versione “buona”. Qui Marcus posiziona uno dei pilastri del suo libro: la difficoltà di maneggiare la canzone, magma incandescente a cui è difficile dare forma. E quell’unica versione buona è allora qualcosa di più che una semplice esecuzione riuscita, ma è un vero e proprio evento, schiude un mondo che corre costantemente il pericolo di richiudersi. Il colpo di batteria dà inizio ad un piccolo grande big bang della musica rock; la chitarra ritmica di Dylan ed il basso fanno da spina dorsale al brano, ne ritmano il battito cardiaco “rozzo e sporco”. C’è un piano da bettola polverosa e la chitarra pennellata di blues di Mike Bloomfield. Ma è l’organo di Al Kooper, sedutosi allo strumento per caso e quasi di nascosto, che amalgama il tutto cementando quel “sound totale” che rende “ogni ascolto un primo ascolto”. La ricchezza musicale della canzone è in questa maestosità : “non puoi guardare in tutte le direzioni contemporaneamente, ma senti che dovresti farlo. Questo è ciò che accade in Like a Rolling Stone. Il sound è così ricco che la canzone non suona mai nello stesso modo due volte”. La canzone rompe ogni schema di tutto quello che si era ascoltato fino ad allora. Ad iniziare dalla lunghezza. La terza strofa, e poi la quarta, sono una sorta di shock, come “l’annuncio di Roosevelt per un terzo mandato presidenziale”. Gli oltre sei minuti sono inizialmente tagliati a metà dividendo il brano nei due lati del 45 giri (“all’inizio sull’etichetta del 45 giri c’era scritto 5.59, come se in questo modo potesse essere meno intimidatorio”). Le stazioni radio mandano i primi tre minuti, ma la dissolvenza suona falsa, l’intensità non cala e la canzone viene allora trasmessa nella sua interezza. Ancora uno shock per chi ascolta quel brano così lungo e così travolgente. Oggi quest’opera di destrutturazione, di rottura, appare ovviamente affievolita. Eppure Marcus è straordinario nel riportarci in quel 1965 raccontandoci le emozioni e i sentimenti di quei mesi. “Cosa deve essere stato ascoltare “Like a Rolling Stone” nel 1965, a diciannove o vent’anni?” si chiede Nick Hornby in “31 Canzoni”. Marcus, nel suo libro, ricostruisce quell’atmosfera. Ma che cosa raccontano quei versi che Dylan urla e scaglia contro chi ascolta? Chi sono quei personaggi dai nomi strani, “Miss Solitaria”, il “Vagabondo Misterioso”, il “Diplomatico”, “Napoleone in stracci”? La storia è quella di una studentessa borghese, ricca e viziata, che si ritrova ad aver perso tutto, sola e senza casa. Ma questo è solo il primo strato. La canzone ha più livelli di senso e di complessità. Negli anni esegeti ed interpreti si sono sforzati di leggere tra le righe e scovare riferimenti e citazioni. Con chi se la prende Dylan? A chi indirizza la sua rabbia, la sua “vendetta”? Forse a se stesso? In realtà a Marcus non interessa districarsi tra queste questioni. Per lui la canzone è la storia di una domanda che rompe le sicurezze di facciata, che fa vacillare ogni pregiudizio e ogni abitudine; una domanda che con gli anni non ha perso di forza e necessità: “come ci si sente?”. Come ci si sente a non avere comodità rassicuranti e a doversi reinventare continuamente. La canzone, per Marcus, non è dunque una critica amara, ma un’ode della liberazione, della distruzione delle false illusioni, della conquista della libertà. Libertà che è qualcosa di complesso e ambivalente. Qualcosa che ci toglie dalle nostre certezze e ci pone all’incrocio, “at the Crossroads” come recita il titolo originale del libro di Marcus. Ma, ancora, a dire tutto questo non sono le parole, ma il suono, quel sottile suono al mercurio che in questa canzone si fa evento. L’evento di quella incisione del giugno 1965 che è quasi un momento di grazia, un’apertura di luce unica e irripetibile. Il libro di Marcus è, in conclusione, ricco avvincente e stimolante. Sicuramente un’altra pagina di giornalismo musicale che non si ferma alla patina superficiale ma che scava e arriva in profondità. Eppure, proprio seguendo le linee guida che Marcus dà alle sue pagine, rimane un retrogusto di insoddisfazione. Come se ci si fosse dimenticati di qualcosa. E’ come se Marcus avesse circondato la sua preda, le si fosse avvicinato accerchiandola, ma questa, in un modo o nell’altro, sia sempre riuscita a fuggire. Qual è il segreto della canzone? Perché “Like a Rolling Stone” è così speciale? Marcus dice –giustamente- che il segreto sta nella “voce” e nel “suono totale” del brano. Ma, allora, non sono forse le pagine di un libro che possono svelarci quel segreto, ma semmai i solchi di un disco. Basta ascoltare.

(Davide Bacca)

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