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“Un liceo da suicidio”, il giallo filosofico di Martino Sgobba

Un uso potente dell’italiano è ciò a cui Martino Sgobba, già docente di filosofia, oggi scrittore e dirigente scolastico di un polo liceale del sud-est barese, ha abituato i lettori. Sia “Le parole restano” che “Il mare è soltanto acqua”, sue pubblicazioni precedenti con Giovane Holden Edizioni, colpiscono, tra l’altro, per la cura spesa nella scelta delle parole.
In “Un liceo da suicidio”, ultima prova narrativa confezionata con la Robin Edizioni, questa capacità esplode. La lingua diventa lo strumento di una riflessione investigativa che coinvolge tanto i personaggi, quanto il fruitore del racconto, in un gioco intellettuale pieno e divertito.
Nel liceo “Niccolò Machiavelli” di Cainate, un paese della Brianza orientale, in poco più di ventiquattro ore si verifica il suicidio di tre docenti. All’ispettore scolastico Francesco Vicenti, prossimo alla pensione, viene affidato l’ultimo e delicato incarico presso l’istituto. Su un binario parallelo opera il commissario Alesci. Chiave di volta dell’enigma è Francesco Losavio, ex studente mai diplomatosi, ex bidello volontario, figura sospesa tra la grazia dei semplici e la dannazione dei sapienti.
Alla narrazione, snella e piacevole, si unisce una ragnatela di informazioni sulle quali ci si deve interrogare e, a partire da ciò, costruire un percorso proprio nella risoluzione del caso. I protagonisti hanno “nomi parlanti”, germinati da una legge del contrappasso che coinvolge in un continuo dialogo di letteratura e filosofia.
Al centro della storia c’è un quesito paideutico, disegnato nel rapporto umano che si istaura tra l’adulto Vicenti e il giovane Losavio. Si tratta di un “un problema di coerenza”, che indaga sull’autenticità del ruolo di un educatore. A dare forza alla descrizione ci sono i caratteri umani che vivono l’universo scuola, di cui emergono anche le disfunzioni.
Nelle ultime pagine, la struttura del racconto ruba la scena all’azione. I luoghi, una biblioteca o una stazione ferroviaria, rafforzano la loro rilevanza metaforica, con tratti di penna che corteggiano Umberto Eco e si aprono alle possibilità di un finale.

 

(Mariantonietta Pugliese) 

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