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Recensito incontra Anna Procaccini: il racconto intimo di chi ha condiviso la vita e l''arte con Arnoldo Foà

Ci racconta cos'è racchiuso in questo libro e come è nato il progetto editoriale?

Si tratta di un piccolo viaggio personale. Non è un saggio per addetti ai lavori, piuttosto un racconto di Arnoldo Foà e dell'esperienza che ho condiviso con lui, tra palcoscenico e vita privata, anche se il confine era davvero labile, perché per Arnoldo il teatro era tutto. La sua idea di teatro, di drammaturgia, di regia, di testo e di recitazione viene fuori attraverso foto (le prime datate 1936, agli inizi della sua carriera), materiale d'archivio e un'intervista privata, che proprio io realizzai all'inizio della nostra vita insieme. Una rassegna critica completa l'opera, che ricevette l'approvazione dallo stesso Arnoldo prima che morisse. Pochi mesi dopo la sua scomparsa, nel contesto del Festival del Cinema Europeo di Lecce, l'editore Rubbettino mi ha spinta a pubblicarlo e per me, questo libro è sopratutto un ringraziamento a lui, alla sua arte e alla sua umanità.


Qual era il rapporto del maestro con i giovani?

Arnoldo adorava i giovani, viveva con i giovani, lavorava con i giovani. Erano per lui uno stimolo potente, tanto quanto poteva essere lui per loro. Ci metteva anima, corpo e tutta la passione di cui era capace nel lavoro con i giovani, ma solo a patto che questi contraccambiassero dimostrando amore per il teatro, voglia di imparare e, sopratutto, quella che per lui era una caratteristica fondamentale: la curiosità. Negli ultimi anni aveva notato proprio nella mancanza di passione e curiosità, uccise da una società meschina, il più grave danno per le generazioni del nuovo millennio. Amore e confronto tra gli uomini, studio e passione, conoscenza critica e consapevolezza storica: queste sarebbero state le "medicine", che avrebbe prescritto oggi, al cospetto dei malanni cronici che affliggono giovani e cultura.


Con il pubblico e la critica invece?

Con il pubblico c'è sempre stata sintonia. Arnoldo riusciva a coinvolgere chiunque quando era sul palcoscenico; con la sua spontaneità e verità ha sempre rincorso "i sorrisi e non gli applausi" come gli piavceva dire. Con la critica ha vissuto fasi diverse, talvolta è stato incompreso, bollato come troppo moderno, poi come elitario, ma nell'ultima fase della sua carriera era avvenuta una sorta di riconciliazione. Arnoldo era sopratutto un uomo libero, che fuggiva etichette preconfezionate, quando si è capito questo, non ci sono stati più problemi.


Qual è il più bel ricordo che si sente di condividere, con chi sente la mancanza di un pilastro della cultura com'è stato e ancora è Arnoldo Foà?

Il suo sorriso. Può sembrare banale, ma lui era il suo sorriso. Ridere con lui aveva un che di taumaturgico; era un filosofo terapeuta del sorriso inteso come arma di difesa contro la durezza della vita. Quando sul suo volto si disegnavano le rughe di un sorriso, diventava un simbolo in carne e ossa della leggerezza propria dei grandi artisti.


Ringraziamo la signora Anna Procaccini per la squisita disponibilità. Ringraziamo l'ufficio stampa, nella persona di Nicola Conticello per la consueta professionalità.


(Adriano Sgobba)


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