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Giulio Andreotti ricorda le elezioni del 1948: "Meno male che abbiamo vinto noi"

Democristiano sagace e manovriero, deputato dell’Assemblea Costituente, già presidente della Fuci (dopo Aldo Moro), sottosegretario dal 1947 al 1953 alla presidenza del Consiglio con De Gasperi, parlamentare, ministro dell’Interno (1954), delle Finanze (1955), del Tesoro (1958-59), della Difesa (1959, 1966, 1974) dell’Industria (1966-1968), del Bilancio (1974-1976), degli Esteri (1983-1989). Per ben sette volte presidente del Consiglio tra il 1972 e il 1991, il senatore a vita Giulio Andreotti è dal secolo scorso un protagonista di prima fila della vita politica italiana. ”Divo Giulio”(per la stampa), Belzebù (per gli avversari), il dominus della Prima Repubblica sempre sulla scena e continuamente al centro di polemiche, accuse e processi, ricorda: ”A parte le guerre puniche mi è stato attribuito di tutto”, dal concorso esterno in associazione di stampo mafioso all’uso spregiudicato dei servizi segreti deviati. In questa legislatura ha rischiato di diventare Presidente del Senato ed ora si batte contro il progetto di regolamentazione giuridica delle coppie di fatto (c.d. Dico). Giornalista professionista, aforista brillante (”A pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina”) scrittore, tiene una rubrica su ”Il Tempo” e scrive libri di successo (1953: fu legge truffa? è il titolo della sua ultima fatica letteraria edita da Rizzoli). Abbiamo incontrato il Senatore al termine della proiezione di ”Cosacchi a San Pietro”, l’esperimento di controfattualità sulle elezioni del 1948 presentato da ”La Storia siamo noi” di Giovanni Minoli.

 

Presidente Andreotti, le elezioni del 18 aprile 1948 furono un momento decisivo per la  Storia dell’Italia repubblicana. Cosa sarebbe successo se avessero vinto i rossi?

 

Giulio Andreotti: ”Il fatto che non abbia vinto il Fronte popolare lo considero una grande fortuna per l’Italia. Paradossalmente la lista unica ci aiutò molto. Nel 1946 il numero di rappresentanti eletti all’Assemblea Costituente da PCI e PSI che si presentarono separati fu molto superiore al nostro. Mi ricordo che Nenni aveva trovato, come al solito, una sintesi molto efficace ed aveva coniato il motto ”Marciare divisi per colpire uniti”. La campagna elettorale mi ricordo che fu molto difficile. I comunisti erano più bravi di noi nel mobilitare le masse. Pajetta addirittura frequentò la scuola di dizione per essere più efficace quando parlava. Per le elezioni del 1948 scelsero di fare un fronte unico della sinistra con i socialisti. Il matrimonio non funzionò, meno male”.

 

Ci potevano essere le condizioni per realizzare in Italia un governo delle sinistre senza vincoli di cieca obbedienza nei confronti di Mosca e del Cominform?

 

G.A.: ”Non credo ci fossero i margini per mantenere equidistanza da Mosca e da washington. L’Italia non era un’altra cosa. La via italiana al socialismo difficilmente si sarebbe realizzata. Quando Nenni andò in Unione Sovietica a ricevere il premio Stalin tornò e riferì a De Gasperi ciò che aveva detto a Stalin: ”Mi batto per un’Italia neutrale”. Ma quello fece cenno di no con il capo e lo fulminò: ”L’Italia al massimo può non essere oltranzista”.

 

La campagna elettorale del 1948 fu durissima. Lo scontro non era tra DC e Fronte Popolare ma tra due opposte e inconciliabili visioni del mondo. Dopo il 18 aprile la situazione peggiorò. L’avversario era un nemico. Ci furono cacce all’uomo, scontri di piazza. Si arrivò a un passo dalla guerra civile dopo l’attentato a Togliatti. Che ricordo ha del segretario del PCI ?

 

G.A.: ”Mi sento responsabile dell’attentato a Togliatti. Quel giorno ero io che parlavo al banco del governo. Si discuteva di una questione che riguardava la fornitura di carta per i giornali. Ero di una noia tale che Palmiro Togliatti decise di andarsi a prendere un gelato da Giolitti. Uscì dalla Camera e Pallante gli sparò. Rimanemmo con il fiato sospeso, poi si riprese e tornò al suo posto. Non ho avuto modo di frequentarlo spesso, né di conoscerlo a fondo. Non dava molta confidenza. Ricordo solo che una volta durante una riunione nella crisi del governo Bonomi mi raccontò del suo viaggio in Mongolia, e mi disse che le notizie o gli venivano taciute o gli giungevano con incredibile ritardo. Mi disse, insomma, che i comunisti italiani contavano poco”.

 

Il documentario di Minoli si apre con una confessione dell’agente della Cia Milton Friedman che ammette i brogli per favorire la vittoria della DC alle elezioni del 1948. Cosa c’è di vero?

 

G.A.: ”Non ho mai visto un dollaro americano. Feci una campagna senza tanti mezzi, tirando la cinghia e con una macchina scassata con cui muovevo per stradine impervie. Tutta questa pioggia di aiuti americani non la ricordo. Non facevo il tesoriere della Democrazia Cristiana. Per fortuna, non mi sono mai occupato di finanziamenti…”.

 

Con quale stato d’animo ha ripercorso le storie tese di quei giorni che tennero a battesimo l’Italia repubblicana, democratica e filo-atlantica?

 

G.A.: ”Ho visto questo filmato con grande commozione e partecipazione. Il fiato lungo è lo stesso di quando passammo 3 giorni e 3 notti chiusi dentro Montecitorio a discutere l’adesione dell’Italia al Patto Atlantico mentre fuori impazzava la protesta. Ci fu un tentativo di invasione. Il ministro degli Interni Scelba, una persona preziosa per la democrazia in Italia, aveva dato l’ordine di lasciare fare fino a Piazza Colonna e di intervenire solo qualora i manifestanti avessero cercato di forzare quel blocco. Ci fu molta tensione. Un deputato, Giolitti mi pare, uscì e prese una botta in testa. Quando me lo riferirono risposi: ”Un buon motivo per restare dentro”. Una deputata rimase male per questa cosa e per anni non mi parlò.

 

Come sarebbe andata a finire con un governo delle sinistre?  

 

G.A.: ”Non so se sarei stato libero. Probabilmente avremmo corso il rischio di finire come in Cecoslavacchia. La gioia per lo scampato pericolo è grande. Nonostante tutta la buona volontà delle sinistre sarebbe stato inevitabile appiattirsi sulle posizioni dell'Unione Sovietica.

 

(Francesco Persili)

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