Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

“Onirica”, la visione dantesca di Lech Majewski nello spazio puro e infinito del sogno

Lo straordinario talento di Lech Majewski - film maker, scrittore, pittore, compositore, poeta, regista teatrale – nella rappresentazione dell’arte attraverso il cinema si era già espresso con “Il giardino delle delizie” (2004), tratto dal complesso quadro di Bosch e “I colori della passione – The Mill & The Cross” (2011), ispirato a la “Salita al calvario”, opera del fiammingo Bruegel. Ora, l’artista polacco conclude il “trittico” dedicato ai grandi maestri del passato con “Onirica”, una visionaria storia d’amore narrata attraverso una rilettura contemporanea della “Divina Commedia”.
Sullo sfondo di una buia, ruvida e fredda Varsavia, il solitario e taciturno Adam, cassiere di un supermercato, sfrutta ogni occasione per appartarsi, addormentarsi e sognare. Infatti, solo nel sogno Adam trova pace e serenità; solo qui può ricongiungersi al suo migliore amico Kamil e alla sua amata Basia, morti nello stesso incidente d’auto che ha coinvolto anche lui, lasciandogli un’indelebile cicatrice sul volto e un incolmabile vuoto nel cuore.  
Il mondo onirico, immaginario e ideale ricercato da Adam inonda lo schermo fin dalla prima immagine. Comincia con i delicati passi di un angelo custode che percorre la navata di una chiesa e copre con la sua ala il corpo di Basia, immobile su una panca, accarezzato dal fidanzato che le giace accanto. Inizia dalla maestosità di questa scena il flusso di immagini che - per oltre un’ora e mezza - trascinerà il pubblico in un meraviglioso percorso nella mente di Adam.
Così come Dante racconta il proprio viaggio immaginario e mentale che, attraverso i tre regni ultraterreni, l’avrebbero condotto a Dio, Majewski racconta il viaggio fantastico di un sognatore che attraversa la voragine dell’”Inferno” della realtà terrena - quella segnata dai disastri naturali e dal misterioso schianto dell’aereo presidenziale che nel 2010 hanno scosso la Polonia -, sopporta il “Purgatorio” della propria anima, affrontando il dolore della perdita affettiva, per avvicinarsi al “Paradiso”, laddove vive la sua amata Basia.
In questo viaggio mentale si cela il principale legame con il poema dantesco, al di là dei chiari ed espliciti riferimenti al testo come la cicatrice di Adam simile a quella di Manfredi di Svevia, incontrato da Dante nel Paradiso, la “selva oscura” abitata da personaggi - anime di amanti strappate dalla morte - vestiti di eleganti e colorati abiti, la fluttuazione dei corpi di Adam e Basia che richiamano a Paolo e Francesca, uniti come due colombe in un unico abbraccio.
Non si tratta dunque di semplice ispirazione né di mera riproposizione delle allegorie e dei simbolismi del testo: Majewski assorbe la struttura de la “Divina Commedia” e la trasforma in sceneggiatura dalla quale prendono vita mondi, personaggi e tempi (ir)reali.
Spinto dall’ossessione per la storia, per l’arte, per la letteratura Majewski - nei panni di un invisibile Virgilio – accompagna Adam e lo spettatore in un cammino disseminato di luoghi e personaggi emblematici intrecciati a continue citazioni che spaziano dal surrealismo alla video arte, dal pensiero filosofico di Heidegger ai testi latini, dal cinema felliniano, «massimo esempio del cinema personale» - ha affermato il regista – alla pittura manierista.
Si tratta di citazioni che certamente richiedono un certo sforzo per apprezzare pienamente la complessità dei suoi riferimenti, ma che, tuttavia, affascina anche coloro che non ne riconoscono la simbologia, attraverso la linearità della storia e l’estetica delle sue immagini.
Grazie alla regia, alla scenografia, ai costumi e alla fotografia – che con la luce e i colori esaltano lo spessore e la profondità dell’immagine - Majewski infonde nell’occhio dello spettatore sia la crudezza e la ruvidezza della realtà polacca, sia la consistenza vellutata, densa e quasi plastica nella quale è avvolto quello spazio puro e infinito che è il sogno.
La maestosità dell’interpretazione di Dante resta negli sguardi di noi sognatori a occhi aperti, lasciandoci la sensazione di esserci appena svegliati da un meraviglioso viaggio all’interno di una vertigine.

(Nicole Jallin)

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM