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“To Rome with love”, clichè a iosa nella cartolina italiana di Woody Allen

Parafrasando un dialogo del film, Woody Allen non precorre più i tempi, affatto. E, mentre scorrono i minuti della sua ultima fatica sul grande schermo, ci si chiede allibiti se questa sua cartolina dalla capitale sia sogno (o, per meglio dire, incubo) o realtà.

Ultima tappa di quello che era un delizioso gran tour europeo su pellicola, “To Rome with love” (perché un titolo inglese, tra l'altro infelice, per un film tutto ambientato in Italia e dalla traduzione men che elementare?) doveva essere l’attesa trasferta romana del grande regista newyorkese per raccontare vizi e debolezze del belpaese; alla base, pallide eco boccaccesche che dovrebbero intenzionalmente nobilitare quelle che, a conti fatti, altro non sono che trite barzellette, piene di luoghi comuni, sugli italiani visti dagli americani e sugli americani che perdono la testa proprio in Italia.

Difficile simpatizzare con personaggi così patetici, tanto più se inseriti in storielline vacue e senza alcun legame tra loro: si passa dall’incontro fra suoceri di diversa nazionalità, alla coppietta di provinciali travolta dalle “trasgressioni” dell’urbe, fino al famoso senza causa e agli amanti nevrotici e instabili con nume tutelare al seguito.

Non è tanto il campionario di stereotipi messi in piazza a lasciare desolati (e che, comunque, un suo effetto di profondo imbarazzo lo produce), e neppure la confezione inaspettatamente anonima (con incredibile colonna sonora da soft movie anni ’70), quanto la sciattezza di scrittura, che affastella, oltre a delle caratterizzazioni francamente assurde, anche dialoghi zeppi di inconsistenti farneticazioni e momenti che rasentano il parossismo più ingenuo.

In un vuoto di idee spaventoso, dove solo per brevi istanti si affaccia impaurita quella brillante ironia dissacrante che da sempre è stata il fiore all’occhiello della produzione alleniana, si consuma un filmetto dozzinale e senza scopo preciso, popolato da attori gesticolanti (Eisenberg e Page) e fuori parte (un terribile Benigni) e da una marea di meste comparsate nostrane (la figura migliore la fanno i graziosi Tiberi e Mastronardi, abbigliati in stile d’anteguerra).

Sarebbe errato parlarne in termini di “qualunquismo”: in “To Rome with love” manca completamente un appiglio non solo all’utile, ma anche al dilettevole.

Intanto, il biglietto di ritorno dall’Italia di Allen è stato timbrato, possibilità di rientri all’orizzonte non pervenute.

 

(Giuseppe D’Errico)

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