“Roma Fiction Fest”: presentata la miniserie Taodue “Il bosco”
E poi fu il “Thriller”.
Reduce dall’aver prodotto “Il tredicesimo apostolo”, che a dispetto di una certa confusione tematica (una mescita di paranormale, alieni e thriller alla Dan Brown), ha riscosso un buon successo di pubblico per due stagioni, costituendo una fra le più grosse novità di genere (e non di forma) nella fiction italiana, la Taodue di Pietro Valsecchi gioca con quelli che furono i generi cinematografici e camuffa con il thriller psicologico, quello che è un meccanismo produttivo ben rodato. A cominciare dal cast: ci sono le due punte di diamante di casa Mediaset, Giulia Michelini e Claudio Gioè, rispettivamente “Nina” (giovane docente di psicologia con un doloroso trascorso familiare) e Sandro (un ex galeotto condannato, pare, ingiustamente), che si troveranno coinvolti in una serie di omicidi in un campus universitario su cui aleggia lo spettro di sette, confraternite e complotti. Quello che si è visto nei primi cento minuti di quella che sarà una serie in quattro puntate, non esalta, ma riesce a creare attesa. I giovanissimi sceneggiatori Maurizio Curcio, Andrea Nobile e Leonardo D’agostini provano a disseminare false piste, a creare personaggi che si svelino poco a poco, a tessere intrecci che catturino la mente del pubblico, ma chiaramente qualcosa di prevedibile rimane. Il mistero che fa da motore narrativo riguarda la scomparsa della madre della protagonista, che vent’anni prima è misteriosamente sparita nel bosco: questo è quanto si deduce dai continui flashback di Nina, che è tornata a casa per scoprire la verità e superare i disagi psichici che la tormentano. La speranza è che si eviti quanto successo con “Il tredicesimo apostolo”, che sia stato posto un freno alla sovrabbondanza di temi, che sia stato raffinato e dosato l’uso di effetti speciali, tutto a vantaggio di una certa pulizia stilistica. Il merito di Taodue è quello di sperimentare, la responsabilità artistica che ne deriva è ancora più grande: non accontentarsi del successo di share e di sfruttare all’osso “i filoni” scoperti, ma lavorarci e migliorare, per raggiungere uno standard di qualità che possa far inneggiare a un cambiamento, anche nella forma.
(Adriano Sgobba)
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