“Truculentus”: una rifondazione metateatrale
Non è certo una novità che ultimamente è molto di moda il metateatro: in questo caso si arriva alla soluzione estrema di uno spettacolo in cui i protagonisti non sono i personaggi ma i loro interpreti, e la commedia plautina soltanto lo sfondo per le gags cucite addosso alla compagnia che deve metterla in scena. “Truculentus” è il nome dell’opera che il gruppo di attori si accinge a rappresentare, e che, sulla scorta di rimediati espedienti, si sforza di portare avanti fino alla fine.
A mancare non è la quarta parete, ma le altre tre: scena e fuori scena si accavallano in un continuo oscillare dei due livelli di finzione, mentre è sempre più evidente che non si è scelto di valorizzare le risorse comiche dei contenuti (il testo), ma di rifondarne delle altre nell’ambito del loro contenitore (il contesto della messa in scena). All’inizio l’ingranaggio sembra funzionare, Plauto effettivamente può prestarsi, e il pubblico ci sta. Il tono però inizia presto a calare, quando, esaurita la forza iniziale dell’idea, la rappresentazione implode formalmente in una serie di trovate ripetitive, e la commedia, essendo solo abbozzata, manca di legami e soluzioni drammaturgiche che possano rendere agilmente fruibile la complicata trama, non riuscendo quindi a integrarsi nel suo contenitore e proporsi organicamente agli spettatori, eclissata da quella che rimane squisitamente una prova di bravura degli interpreti: non brilla certamente la performance di Eleonora Brigliadori, attrice principale, visibilmente vincolata a pochi e ripetitivi virtuosismi preconfezionati, ma questa trova un solido supporto nei suoi colleghi, tra cui si distingue Cinzia Maccagnano, che, al contrario, flette con sapiente versatilità le diverse espressioni dei suoi personaggi.
(Manuel Franchina)
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