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Sanremo 2018: la quarta serata

Salvate il soldato Pierfrancesco Favino dai suoi due colleghi, che parlano poco e lo costringono a ripetere le parole per loro, persino quando bisogna elencare i codici per le votazioni. È una conduzione confusionaria quella che accompagna le varie fasi della quarta serata di Sanremo 2018, fatta di gaffe, presentazioni sbrigative e tantissima stanchezza.
Ci sono ospiti illustri sul palco eppure tutti, esattamente come i giovani, vengono liquidati con un mazzo di fiori e un saluto superficiale. Sono penalizzati dai tempi troppo stretti e dalla sovrabbondanza di concorrenti che ancora devono calcare il palco. Nonostante l’assenza di fiori, neanche la scenografia spaziale da talent con la X davanti riesce a spazzare via la polvere dei secoli, che si ammassa su un carrozzone tanto pachidermico quanto cadente.
I Giovani vengono congedati in fretta, come una fila di clienti alle Poste da smaltire. Alla fine a trionfare è Ultimo, con il suo pezzo dolente sulle difficoltà della vita che molto piace al pubblico sanremese. Con un colpo al cerchio e uno alla botte, la giuria premia anche l’impegno civile, assegnando il Premio della Critica per le Nuove Proposte a Mirkoeilcane e il suo ‘Stiamo tutti bene’, che descrive con agghiacciante efficacia il dramma dell’immigrazione.San1
I duetti, invece, più che sorprese, offrono conferme sulle non sempre eccelse doti canore dei concorrenti e sulla povertà delle melodie sperimentate durante questa edizione. Nemmeno gli ospiti sembrano riuscire a risollevare il tono della serata. Ci prova la Nannini, più padrona del palco che delle note, ma un debordante Baglioni sente la necessità di esibirsi in un duetto con lei, un battesimo del fuoco a cui non sfugge nemmeno Pelù. Quest’ultimo, però, con un abile colpo di mano, riesce persino a oscurare Baglioni sul palco, mentre intonano un tributo a Battisti, salvo poi essere costretto dalle tempistiche a congedarsi molto velocemente.
La serata si concentra quasi totalmente sui Campioni e sui loro duetti. Si comincia con Renzo Rubino, che spicca sul palco più per le sue mise eccessivamente colorate che per il suo talento canoro. Il suo ‘Custodire’, nonostante le potenzialità liriche, continua a risultare inutilmente sguaiato nella sua interpretazione. Il risultato finale è un pezzo a due velocità, che nemmeno la bella voce di Serena Rossi riesce a salvare.
Francesco Sarcina del rock conserva solo l’estetica, con le sue arie da Johnny Depp “de noartri”. È Skin, con la sua voce potente e il suo stile inconfondibile, a donare nuova vita a questo pezzo, la cui sezione ritmica è, in contrasto con le doti del suo frontman, molto rock per gli standard di una platea come quella sanremese.
Quando tocca a Paola Turci, sembra di trovarsi davanti al primo duetto davvero ben amalgamato della serata. È un’illusione che dura poco, perché Noemi e i suoi toni troppo graffiati contagiano anche la voce calda e bassa della Turci: ci si trova così davanti a un coro a tratti coinvolgente, a tratti esasperatamente sforzato.
Ana Carolina e Daniel Jobim, la prima con la sua voce spessa e profonda e il secondo col suo pianoforte, regalano a un pezzo complicato come ‘Rivederti’ una sfumatura calda da bossa nova. Anche la voce di Mario Biondi si avvicina agli antichi fasti e viene confezionato un duetto indubbiamente piacevole per le orecchie già stanche dello spettatore.
Non ci sono sorprese nella performance di Annalisa e Michele Bravi. Sono esattamente quello che sembrano: due prodotti da talent, appetibili per un certo pubblico giovane e amante del pop commerciale. Offrono uno spettacolo patinato per una canzone molto sanremese, che già si candida a essere un discreto successo radiofonico.
Non si sa, invece, se Lo Stato Sociale riuscirà a far diventare ‘Una vita in vacanza’ una hit ma di sicuro il gruppo si impegna in ogni modo per ammiccare al pubblico. Lo scambio di battute con Paolo Rossi risulta abbastanza fiacco e i bambini del coro dell’Antoniano si rivelano l’elemento più intonato e preparato che abbia calcato finora le scene dell’Ariston.
La voce di Max Gazzè continua a non essere al suo meglio durante queste serate sanremesi. Tuttavia l’arrangiamento offerto da Rita Marcotulli, al pianoforte, e da Roberto Gatto, alla batteria, danno nuova profondità alla sua ballata sull’amore tragico di Cristalda e Pizzomunno, rendendola una canzone decisamente meno scontata e molto più commovente.
Un problema tecnico costringe i Decibel a una falsa partenza. Poi però la chitarra di Midge Ure e la sua voce si innestano sulle melodie malinconiche di ‘Lettera dal Duca’, facendola vibrare di tonalità più rock. È una commistione non perfetta, perché Ruggeri arranca non poco nei ritornelli, ma sottolinea tutte le potenzialità incompiute del pezzo.
Ornella Vanoni continua a interpretare il suo ruolo da diva sul viale del tramonto e Alessandro Preziosi sembra essere sul palco più per recitare come sua spalla che per cantare. E infatti è un parlato quello che realizza, per un effetto finale estremamente di maniera, un’esecuzione d’altri tempi per un pezzo che sa di nostalgia – e un po’ anche di naftalina.
Ghemon invece è quella spruzzata di novità che mancava a un pezzo molto legato come quello di Diodato e Roy Paci. Il rapper avellinese smorza un po’ i toni da fustigazione dei costumi contemporanei e, con un inserto appositamente scritto per lui, rende il ritmo di ‘Adesso’ più movimentato, fondendo in una combinazione convincente il duo di voce e tromba.
Chi non riesce a ridare linfa vitale a un duo di grandi vecchi della musica italiana è Giusy Ferreri. La sua voce risulta essere un’aggiunta ancora più stridente a una canzone, come ‘Il segreto del tempo’, già pesante e manierata, che continua a risultare ostica all’orecchio dello spettatore.
Dopo le necessarie premiazioni di rito dei Giovani, il Festival si inerpica in un altro dei lunghi elenchi dei codici da inserire per il voto da casa. I presentatori hanno perso molto del loro smalto, i siparietti comici continuano a susseguirsi con eccessiva sovrabbondanza: è il caso di Federica Sciarelli, che ripete lo stesso numero di Franca Leosini ed Emma D'Aquino ma sulle note di ‘E tu come stai?’.
Si riparte con Enzo Avitabile e Peppe Servillo: la presenza degli Avion Travel dona a ‘Il coraggio di ogni giorno’ quelle sfumature tipicamente partenopee che le danno un fascino tutto nuovo. C’è profumo di Mediterraneo ancora di più nella voce di Daby Touré, che dimostra come questo pezzo sia uno dei più sperimentali e interessanti della kermesse.
Fabrizio Moro ed Ermal Meta confermano di appartenere al filone più impegnato di Sanremo. C’è poco da ridere quando Cristicchi sale sul palco e recita un estratto da una lettera del marito di una delle vittime degli attentati del Bataclan. È l’innesto più originale di una canzone che tanto ha fatto parlare per il suo ritornello tutt’altro che inedito.
Nemmeno Arisa può restituire personalità a una canzone poco incisiva come ‘Eterno’. La sua voce energica, tuttavia, le conferisce almeno un po’ di quell’anima che i toni eternamente bassi e poco intonati di Caccamo le avevano tolto.
San2Alice, invece, riesce a interpretare con consumata intensità ‘Almeno pensami’ e persino Ron si riprende in questo duetto. La canzone assume finalmente tre dimensioni, fa sognare lo spettatore e si conferma una delle proposte migliori di questa edizione, calibrando bene emozioni e melodie.
Tullio De Piscopo ed Enrico Nigiotti corrono in soccorso del pop commerciale di ‘Frida’. Stash resta la voce unica di questo pezzo molto mordi e fuggi a cui però la batteria di De Piscopo – che si concede anche un robusto assolo finale – dà un ritmo molto più sincopato, lì dove la chitarra elettrica di Nigiotti resta un innesto che prova, senza successo, a rendere il sound dei The Kolors superficialmente rock.
Marco Masini non toglie e non aggiunge niente a ‘Ognuno ha il suo tempo’, se non forse una certa ruvidezza. L’affiatamento con Red Canzian, però, è buono e i due cantanti si scambiano le battute con naturalezza, tenendo il palco certamente meglio di altri non meno agguerriti colleghi.
Il duetto fra Anna Foglietta e Luca Barbarossa è uno dei più azzeccati della serata: intonata lei, dolente lui, riescono a stabilire un dialogo a due voci, impersonando con malinconica convinzione il marito e la moglie protagonisti di ‘Passame er sale’, e si fanno ascoltare nonostante l’ora tarda.
Sergio Cammariere e la sua eleganza inconfondibile accompagnano Nina Zilli in un’esecuzione dalle sonorità più jazz e più curate. ‘Senza appartenere’ resta un pezzo monco e poco convincente ma guadagna, da questo duetto, un calore che certamente gli era mancato, nelle serate precedenti.
Si finisce con Elio e le Storie Tese. Il loro duetto con i Neri per Caso è certamente quello meglio costruito di tutta la serata. Nonostante l’orario, entrambi i gruppi si completano perfettamente, con dei cori che ricordano i tempi gloriosi di ‘TVUMDB’ e con un’esibizione assieme divertente e malinconica, come lo è l’addio alle scene degli Elii.
Al termine di una serata eccessivamente lunga, resta l’impressione che questa edizione si sia rivelata il trionfo della sovrabbondanza e del caos. Con uno share del 51.1%, 10.108.000 spettatori, però, Baglioni riesce a incuriosire ancora una consistente fetta del pubblico. Gli italiani continuano a guardare il Festival di Sanremo, insomma: che accada a discapito della qualità delle canzoni in concorso è un altro discorso.

Ilaria Vigorito
10/02/2018

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