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Yukonstyle: il BiTquartet svela l'umanità che cova sotto le nevi perenni

In Yukon, Canada, quando fa freddo le temperature possono raggiungere i cinquanta gradi sotto zero. In Yukon, Canada, gli inverni sono una lunga notte, che può far impazzire la gente di solitudine. In Yukon, Canada, i Nativi non hanno vita facile e devono vedersela con un razzismo così strisciante, che persino la polizia ignora i serial killer come Robert Pickton, perché se la prende con le giovani donne delle Prime Nazioni. Il BiTtquartet prende tutto questo e lo trasporta nell'ambiente raccolto e sotterraneo del Teatro Studio Uno, facendo irrompere sul palco le bufere di neve dello Yukon ma anche la rabbia e la confusione che attraversa le vite dei suoi abitanti.
Il regista Gabriele Paupini ha tradotto - con un'immediatezza che rende il testo comprensibile anche al pubblico nostrano, senza perdere tutti i riferimenti culturali del copione originale - e portato sul palco un testo inedito in Italia. Scritto da Sarah Berthiaume, "Yukonstyle" ha già debuttato a Parigi, Toronto, Bruxelles, Heidelberg e Innsbruck, per poi approdare in prima assoluta a Roma. Sono quattro i protagonisti di quest'incrocio di vite e di solitudini: Kate (Benedetta Rustici), diciassettenne che attraversa il Canada in pullman, senza nulla in tasca ma con un figlio nel ventre che non sa se tenere; Yuko (Marianna Arbia), giapponese che ha deciso di emigrare "nel posto dove ci sono meno giapponesi nel mondo"; Garin (Lorenzo Terenzi), nativo che convive con Yuko e lavora come lavapiatti nel ristorante in cui la coinquilina fa lo chef; Dad's (Marco Canuto), uomo solo e alcolizzato che tiene nascosti tanti, troppi segreti e rifiuta di dire a Garin che donna fosse sua madre.
Sul palco pochi oggetti: uno stereo, un paio di cassette con cuscini che fanno da poltrona, un attaccapanni, uno scaffale addossato al muro popolato di bottiglie. Sullo sfondo una grande lavagna, dove i Yukonstyle 3personaggi, a turno, con i loro gessetti colorati scrivono i titoli degli spezzoni in cui è divisa questa dolente storia corale. La molla narrativa scatta quando Yuko trova Kate sul ciglio della strada, vestita come una Harajuku Girl a fare l'autostop nel freddo imperdonabile della notte polare. La porta a casa sua ma Garin non è contento di quell'intrusa. Tuttavia, per l'amore che prova verso la coinquilina ma di cui nemmeno lui è ancora consapevole, accetta che resti con loro. Ha già dei problemi per la testa, Garin, e sono il padre a cui fa visita ogni mese, portandogli l'assegno di invalidità. Non comunicano molto e, ogni volta che ci provano, finiscono per litigare: suo padre è irremovibile e non vuole parlargli della donna che lo ha messo al mondo.
Da qui si dipaneranno, come rami da un unico tronco, tanti piccoli frammenti di vita quotidiana, dialoghi scherzosi, che poi via via si tramutano in discussioni feroci; ricoveri ospedalieri che portano a dolorose scoperte, capaci di generare fortissime crisi d'identità. In tutto questo i personaggi non si limitano a parlare solo fra di loro: rompono la quarta parete, a cadenze stabilite, per comunicare col pubblico, raccontando cosa sta accadendo alle loro vite, dipingendo davanti agli occhi degli spettatori i panorami bianchi e sconfinati dello Yukon.
Yukonstyle è una storia di denuncia sociale e di riscatto, che si svolge nell'asfittico tran-tran quotidiano di persone comuni con alle spalle dolori personali, tenuti accuratamente nascosti sotto infiniti strati di silenzi. Il BiTquartet aggiunge qualcosa di proprio a questo dramma: tutti e quattro gli attori brillano sul palco, ognuno dando l'anima per interpretare un personaggio spesso completamente opposto, per modi e per aspetto, da quello degli altri. La compagnia riesce a rievocare con la voce, con i gesti, con le parole giuste un intero mondo su un piccolo palco spoglio e con una scenografia essenziale. Non c'è bisogno di grandi architetture, basta la musica - che provenga dallo stereo o sia suonata con la chitarra - e l'intenso affiatamento nello scambiarsi battute e nel far crescere la suspense, fino a un climax così violento da far sobbalzare tutti gli spettatori.
Yukonstyle è un'opera forte, a cui il BiTtquartet ha saputo fare omaggio con altrettanta intensità, dimostrando che il teatro può ancora parlare alle persone delle loro vite e dei loro drammi, persino in un luogo, come lo Yukon, che non è mai sembrato tanto vicino al pubblico italiano.

Ilaria Vigorito 25/02/2018

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