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TRIESTE – “Ancor oggi il tango conserva quel qualcosa di proibito che stimola il desiderio di scoprirlo sempre un po’ di più e quel qualcosa di misterioso che ci ricorda quel che siamo stati o, forse, quel che avremmo voluto essere” (Jorge Louis Borges).
“La mia musica è triste perché il tango è triste. Il tango ha radici tristi e drammatiche, a volte sensuali, conserva un po’ tutto... anche radici religiose. Il tango è triste e drammatico ma mai pessimista” (Astor Piazzolla).

Esiste altra musica, se non il tango, per esplicare ed esemplificare il contatto, ma anche il contagio, la febbre che sale scena dopo scena del “Romeo e Giulietta” shakespeariano? Anche se quattrocento anni fa (il 23 aprileromeo2 1616 moriva il Bardo di Stratford-upon-Avon) il tango, evoluzione oltreoceano del liscio nostrano ballato a sud dell'equatore tra pampa e gaucho, non era ancora stato inventato, quella passione, quei passi, quelle mani addosso, quegli scarti recalcitranti per poi lasciarsi andare e cadere nelle braccia l'uno dell'altro sembrano essere la fotografia postuma di quell'amore giovanile universale mai consumato, schiacciato dall'odio, compresso dalle famiglie, ucciso da diatribe politiche che niente avevano a che fare con la purezza e dolcezza, con la limpidezza e il chiarore di questo sentimento così leggero e così profondo.
“Il tango è un pensiero triste che si balla” (Enrique Santos Discépolo). Luciano Padovani è uno specialista nel portare il tango a teatro, drammatizzandolo, coniugandolo con concetti classici, declinandolo a favore di drammaturgie. Questo è il suo quinto spettacolo dove al centro, e in sottofondo, visibile e come fil rouge, sta imperioso e impetuoso il tango argentino nel quale la forza si mischia alla dolcezza, la sensualità all'impossibilità dell'aversi, gli sguardi e la carnalità si fanno cosa viva e pungente. Sei coppie ad orchestrare tutto il parterre dei personaggi della tragedia, quattro tangueri e otto danzatori contemporanei. Anche questo mix di impostazione da una parte e improvvisazione e rottura degli schemi classici dall'altra, di rigidità e flessuosità, di movimenti certi, fermi, dritti, tenaci che si incastrano con armonie rotonde e gesti scardinati crea un afflato di sorpresa, un respiro incandescente che sovviene e monta ad ogni scena.
romeo3“Il tango è saper camminare abbracciati” (Carlos Gavito). Particolare l'idea del regista e coreografo Padovani (e della sua compagnia vicentina Naturalis Labor) in questo “Romeo y Julieta tango” (visto nel magnifico Teatro Rossetti di Trieste); i Capuleti sono tutti impersonati da donne e ragazze, mentre i Montecchi sono tutti uomini. Gli incontri-scontri, infatti, prendono anche una piega di frizione e onda d'urto tra i sessi, quel cercarsi e non capirsi tra maschi e femmine, quell'averne bisogno e non poter del tutto convivere, quelle diversità che annusiamo e desideriamo con ardore per poi allontanarcene con distacco. Il tango è proprio questo, caldo e freddo che si miscelano per creano spaesamento e brivido. Il campo della pièce si trasforma in una milonga con il bandoneon straziante che fruscia come i piedi sul palco a scandire un tempo che è più dell'anima e del sogno che quello reale del possibile. E' come se il tango ci raccontasse le potenzialità dell'animo umano, l'andare oltre le apparenze per superare l'impossibile. Il tango è forza e fragilità, senza che questi termini vengano necessariamente associati il primo al maschile e il secondo al femminile.
“Il tango dà un passato a chi non ce l’ha e un futuro a chi non lo spera” (Arturo Pérez-Reverte). L'orchestra dal vivo, i quattro di Quartango, riempiono di vita malinconica ogniromeo4 spazio sonoro con feroce dolcezza. Non siamo a Verona, o non vi è niente che ce lo indichi, ma non è presente nessun elemento che ci spinga in una città, luogo o situazione precisa: questo R+J è atemporale e senza indicazione spaziale ma l'unico, gigantesco e imponente, oggetto di scena, che riempie gli occhi con la sua robustezza e solidità, è una porta in legno, alta e spessa e massiccia, che fa da apertura ma anche da balcone con la finestrella che si apre sopra portandoci nel mondo delle fiabe delle principesse che si scioglievano i capelli per far salire gli amati nelle loro stanze protette. Un portone che può aprire il sogno e le braccia della felicità mentre, una volta reclinato al suolo, si fa, purtroppo per i due amanti, bara e tomba, sarcofago pesantissimo che niente e nessuno potrà sollevare. Nel finale, in quella presa fatale, tutte le ballerine e danzatrici sono una Giulietta in rosso muovendosi all'unisono strette nell'abbraccio e delle giravolte di tutti i danzatori-moltiplicazione dei Romeo in camicia bianca. Alcuni amori sono accettati, e pianti e capiti e compresi, solo quando non possono più portare il “cattivo esempio”. Chi non ha vissuto un amore impossibile non ha vissuto l'amore.

“Le gambe s’allacciano, gli sguardi si fondono, i corpi si amalgamano in un firulete e si lasciano incantare. Dando l’impressione che il tango sia un grande abbraccio magico dal quale è difficile liberarsi. Perché in esso c’è qualcosa di provocante, qualcosa di sensuale e, allo stesso tempo, di tremendamente emotivo” (Jorge Louis Borges).

Tommaso Chimenti 25/04/2017

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