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"Per un pelo" non mi hanno arrestato

VALENCIA - Dal parrucchiere, tra le chiacchiere inutili e frivole, i giornaletti scandalistici e gossippari, sotto il caldo del casco per la permanente, nascono le confessioni, anche quelle più imbarazzanti, più nascoste, più segrete. Amori, tradimenti e, perché no, delitti. Tra una limatura di unghie e i capelli cotonati, tra uno shampoo schiumoso e un balsamo morbidissimo, tra una piega e un taglio, tra forbici, pettini e phon può scapparci il morto, può capitare un omicidio.
È quello che succede nel colorato “Pels Pels” (a firma del drammaturgo tedesco Paul Portner; visto al Teatro Talia di Valencia) dove in un negozio di parrucchiere si ritrovano lo stereotipo del pels1proprietario omosessuale (fa un po’ “Vizietto”), l’aiutante shampista (somiglia a Amy Winehouse), un antiquario e una ricca signora anziana. A completare il quadro due poliziotti, commissario e ispettore, ovviamente come nei gialli che si rispettino, a indagare, scavare a fondo, fare domande, cercare di trovare il colpevole. Ma qui siamo di fronte ad un noir interattivo dove nella prima parte si mettono sul piatto i caratteri dei personaggi e le domande pungenti degli uomini in divisa, mentre nella seconda trance è proprio il pubblico, la platea stessa che si trasforma in un detective con la possibilità di fare domande in un vero e proprio interrogatorio senza pause ai diretti interessati sulla scena. Agatha Christie e Simenon, Derrick e Kojak, deduzioni e brividi. Sembra di essere immersi in uno di quei fumetti con le storie a bivio, a scelta multipla, dove si è “padroni” del destino della pièce ed abbiamo il potere di spostare l’ago della bilancia, di far pendere verso l’arresto il personaggio che ci ha convinto meno e quello che non è stato capace di provare, anche con la simpatia l’esuberanza e l’effervescenza, la sua innocenza.
pels3In spagnolo sarebbe “Per los pelos”, per un pelo, dicono le varie figure in scena se sono scampate all’arresto e alla gogna della platea. Si buca la quarta parete ed eccoci anche noi protagonisti, ognuno con la sua perplessità e punto interrogativo da dover essere soddisfatto, ognuno con i propri crucci e passaggi che non ha ben capito nella costruzione degli accadimenti e vuole vederci più chiaro stuzzicando i sei sul palco. E il bello è che l’assassino (visto che esistono più finali pronti all’uso) è scelto democraticamente dal pubblico per alzata di mano. I quattro si mettono in fila come ne “I Soliti Sospetti” e gli pels4spettatori votano chi, secondo loro, possa essere il colpevole e possa aver commesso l’efferata uccisione della nota pianista che abita al piano di sopra. Chi la voleva morta per invidia, chi perché suonava tutto il giorno, chi per la sua invadenza, chi per le sue finanze. Tutti hanno un movente potenziale. Qualcuno potrebbe essere, o essere stato, amante di un altro personaggio in campo, si ipotizzano storie lesbiche e pesa come un macigno la grossa eredità dell’artista.
L’interrogatorio è la parte più divertente; gli attori sul boccascena rispondono piccati e scontrosi alle accuse che gli vengono mosse oppure adulano chi li scagiona, s’infiammano per chi li mette al primo posto sul banco degli imputati e indiziati principali, mandano baci ed esultano se li salvano, offendono e s’arrabbiano, minacciando di scendere tra le file della platea, se lo spettatore li inchioda alle proprie responsabilità. Ne nascono (a seconda delle repliche, se il pubblico è preparato alla “battaglia” dialettica e se è stato attento ai particolari ed ai dettagli disseminati durante il racconto) delle belle lotte con improvvisazioni sul palco, grande verve e freschezza che rende il gioco godibile, veloce, frizzante.
Dopo le votazioni e il conteggio susseguente il personaggio che in quella replica ha ottenuto più alzate di mano fa la sua ultima arringa-confessione e dove spiega il perché la maggioranza, di quella sera, ha avuto ragione. Sei piccoli indiani.

Tommaso Chimenti 08/05/2017

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