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"Malanova". La violenza dell'omertà in scena al teatro Argot

Malanova vuol dire “colei che porta cattive notizie, disgrazie”. È il nome che le donne e gli uomini di San Marino, frazione di Taurianova, in Calabria, attribuirono, e attribuiscono tuttora, ad Annamaria Scarfò, una giovanissima ragazza calabrese, che dai 13 ai 16 anni, a partire dal 1999, subì reiterate violenze di gruppo da parte di molti uomini del paese. Si sottomise per tre anni, ma quando le imposero di portare con sé anche la sorellina più piccola, si ribellò e denunciò, dando il via al processo e alle intimidazione, che spinsero le istituzioni a metterla in regime di protezione testimoni. La storia di Anna Maria è diventata un libro scritto dalla giornalista di Repubblica, Cristina Zagaria, da cui è tratto lo spettacolo "Malanova", andato in scena al teatro Argot, per la drammaturgia di Flavia Gallo e Ture Magro e interpretato da quest'ultimo.
C'è solo una gabbia, sul palco, aperta a favore di pubblico e in essa l'unico attore. Dalle prime battute si ha la sensazione di assistere ad una storia leggera, il racconto di un amore non corrisposto, quella di un dolce e timido ragazzino di paese per una ragazza bellissima, dalla pelle di porcellana, ammirata da tutti. Ma sarà un ragazzo più grande che le ruberà il cuore. E che la porterà in un dramma che diventerà sempre più profondo. “ Ma il peggio deve ancora arrivare”, dirà più volte il giovane ragazzo, innamorato di Anna Maria. Nel vorticoso Lamalanova02susseguirsi di personaggi, donne, uomini, folle, la storia prende la piega di un vero e proprio thriller psicologico. E come in ogni thriller che si rispetti, dove ogni personaggio non è quel che sembra, anche quel giovane innamorato si svela, confessando che forse lui, la prima sera della violenza, avrebbe potuto fare qualcosa e, non solo non lo fece, ma la trasfigurazione del volto di Ture lascia immaginare scenari ancor più foschi.
Ture Magro è efficace, incalzante, nel gesto, nella rappresentazione della pluralità dei personaggi, che interpreta e caratterizza in modo estremamente credibile, siano essi uomini o donne, queste ultime rese in modo più marcatamente caricaturale. Determinanti, nella caratterizzazione, le luci di Lucio Diana, che sceglie differenti colori per singoli personaggi, in gran parte sui toni del rosso e del verde, in netta opposizione con il bianco che caratterizza Anna Maria. Ella si vede e si sente molto poco, ma quella luce bianca è accecante e fastidiosa e illumina il verde e il rosso che ricordano i colori di quelle pareti del Meridione e delle campagne calabresi , diventate per lei luoghi infernali.
Ci si commuove nei momenti in cui di tutto si parla tranne che del dramma. La festa di paese, l'ammirazione per l'uomo più forte che tiene sulle sue spalle l'asino e balla furiosamente, le pettegole che pigolano dai balconi diventano descrizioni di quella gabbia mentale che condannò Anna Maria e fiancheggiò la violenza perpetuata ai suoi danni. Il dolore si staglia lì, in agguato e arriva agli occhi di soppiatto, senza che neanche ce ne si accorga. È proprio questo l'aspetto particolarmente prezioso di questa interpretazione e di questo spettacolo: il non giocare sulla lacrima facile, né sulla retorica della vittima, rendendo così piena giustizia alla grande forza e determinazione della giovane Annamaria.

Milena Tartarelli 08/06/2017

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