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Una "Lotta al terrore" in scena per riflettere sulla diversità e le sue possibili minacce

Si respira da vicino quella gelida paura che pervade l’anima e la mente, quando giunge la voce di un attacco estremistico, nello spettacolo “La lotta al terrore” di Luca Ricci e Lucia Franchi.
La scena, trasformata in un ufficio comunale di provincia, viene invasa dalla notizia di un assalto terroristico in un supermercato, dove un uomo di origine probabilmente islamica ha preso in ostaggio diverse persone. Intorno ad un tavolo si agitano il vice sindaco, un impiegato e una segretaria comunale, intenti nella frenetica ricerca del sindaco, assente e impegnato in una vacanza sulla neve. L’aula comunale ben presto diventa in un bunker, un rifugio in cui i tre cercano protezione dalla realtà e dallo spaventoso mondo esterno, che li circonda. Foto 6 LA LOTTA AL TERRORE Elisa Nocentini
Si barricano dentro, come se chiudersi volesse dire evadere, eppure le continue telefonate li riportano alla dura e tremenda realtà e alle responsabilità dalle quali non possono sfuggire. Nel tentativo di fronteggiare l’incombente pericolo, con un ritmo concitato e a volte grottesco, emergono i pensieri dei tre, che rispecchiano le idee e i luoghi comuni della maggior parte della nostra società contemporanea. L’impiegato espone la sua teoria razzista , giustificandola con l’impossibilità degli stranieri di adattarsi al paese degli altri, e urla il suo odio nei confronti degli immigrati che non possono sopportare il freddo di questa nazione, la segretaria si maschera dietro la facciata delle rigide regole burocratiche, mentre il vice sindaco mostra la sua comprensione mista a viltà. Sono sconvolti, come attraversati da una scossa di terremoto, forse anche peggio, perché il terremoto non è colpa di nessuno, invece qui un colpevole c’è, e a sorpresa, risulta essere il figlio di Aziz, il fruttivendolo egiziano del paese, un ragazzo considerato uno di loro, che ora vuole parlare con il sindaco, minacciando una strage. L’irrepetibilità del primo cittadino, fa sì che a dover andare sia uno di loro. Proprio in questa circostanza i personaggi dimostrano la propria fragilità e la propria paura, incapaci di avere il coraggio di guardare negli occhi un ragazzo disperato, quel diverso che poi tanto diverso non è. Dopo la decisione di affidarsi alla sorte, sarà proprio il destino ad aver in serbo per loro un finale drammaticamente diverso.
Luca Ricci e Lucia Franchi compongono un testo che affronta le attualissime tematiche dell’intolleranza razziale, delle convinzioni religiose e sociali, delle paure che si hanno nei confronti dell’estraneo, dello straniero, del diverso, trasponendolo in una dimensione così reale, ma allo stesso tempo irreale, in cui la drammaticità si tinge di comicità. L’incubo del terrorismo approda per la prima volta a teatro in una maniera originale, con un’unità di tempo e spazio in cui l’atmosfera si fa sempre più tesa e in cui i pensieri dei protagonisti e le loro talvolta improbabili azioni spezzano e alleggeriscono la tensione. Mentre l’orologio segna lo scorrere dei minuti, in quella bella giornata come tante, all’improvviso accade qualcosa che fa crollare ogni certezza, ogni stabilità, ogni convinzione, scatenando un umanissimo panico. Un’ora in cui si combatte una lotta al terrore con armi inconsuete. Una guerra purtroppo fallimentare, che lascia tristezza, sgomento, sensi di colpa, o forse solo indifferenza. Passato il terremoto , tutto sembra tornare come prima e allora si può parlare del tempo e della vita di tutti i giorni.
Uno spettacolo potente nella sua leggerezza, che con semplicità offre spunti di riflessione, grazie anche alle tre diverse personalità in scena, ben interpretate da Simone Faloppa, Gabriele Paolocà, Gioia Salvatori, ognuna con i suoi pensieri e punti di vista, nei quali potersi ritrovare. Una realtà che ci tocca da vicino e che ci dimostra le possibili reazioni che potrebbero scaturire da un attacco proveniente da parte di colui che ormai è considerato parte di una comunità.

Maresa Palmacci 18-01-2018

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