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Hedda Gabler tra dramma e autocoscienza

Le “donne” di Ibsen hanno il dono della disperazione. Sono impulsive, tendenzialmente selvagge, hanno un’immaginazione fervida e strabordante, aspetto che condiziona anche i sentimenti che vivono. Sono esseri nostalgici, spesso intrappolati in gabbie sociali che non hanno scelto o previsto; ribelli, determinate, intimamente libere, senza conoscere mezze misure.
I norvegesi del Visjoner Teater lavorano proprio sull’esasperazione di questi elementi per dare vita alla propria “Hedda Gabler”: lo spettacolo, che ha vinto il premio al Festival De Almada 2016, ha caratterizzato i primi giorni dell’edizione in corso (5, 6 e 7 luglio), ospitato nella suggestiva Casa da Cerca, il centro di arte contemporanea che richiama il Sud America e le coste africane con i suoi tetti bassi e almadaheddasquadrati, le mura bianche e luminose, i grandi spazi verdi. Il vento quassù soffia forte e in maniera incessante, scompiglia le foglie e i pensieri; è il vento dell’Atlantico a portarci i rumori continui del ponte che unisce Almada e Lisbona, quasi un rombo, un boato di stupore e consolazione, di macchine e mezzi. Da questa terrazza di anime si scorge il profilo della capitale sorridente e malinconica che si inerpica, con le sue strade irregolari, tra sali e scendi che sembrano gobbe e rampe di lancio; una città musicale, sonora, dove anche il chiacchiericcio continuo dei suoi abitanti, mai eccessivo, sembra formare un’unica grande preghiera, un mantra nasale, il refrain di un rosario laico e quotidiano.
In tale spazio incantato l’adattamento di Juni Dahr e Tonje Gotschalksen trova il proprio assetto naturale: lo spettatore si siede nel salotto della protagonista, tra valigie in attesa di una collocazione e imposte chiuse. La scenografia è composta dall’ambiente stesso, non esistono luci artificiali, siamo in assenza di palco, di quinte, di qualsiasi riferimento che ci riconduca a una impostazione classica; siamo a casa di Hedda Gabler, in una posizione privilegiata, vicini ai carichi emotivi che si schianteranno a pochi centimetri da noi, alle energie potenti e prepotenti della protagonista (una “spietata” e viscerale Dahr), ai cambiamenti interiori, qui quasi palpabili. I personaggi (Løvborg, Tesman, Brick, Thea) popolano e vivono la Casa da Cerca allargando idealmente e fisicamente lo spazio scenico anche aldilà della nostra visuale: il patio e l’ampio giardino esterno diventano elementi vivi, attivi, dove accogliere, disperarsi, perdersi, contribuendo a dare originalità e intensità alla pièce norvegese.
almadahedda3La nostra immaginazione segue quasi una regia cinematografica per cogliere i picchi dell’eroina ibseniana che non riusciamo a vedere chiaramente, all’esterno si sciolgono i momenti di maggiore drammaticità, quasi a voler sottolineare quella voglia soffocata di libertà, di non condizionamento della giovane donna: l’adattamento al rientro a casa dopo il viaggio di nozze, annoiata, stanca, senza passione alcuna, il tentativo di metabolizzazione della disperazione di Løvborg, l’estremo gesto inatteso. È un palco sensoriale, caratterizzato da sfumature che cogliamo semplicemente ascoltando (i passi sulla ghiaia, il rumore del vento, le risate e le grida) e che rimangono fuori dal nostro campo visivo. Spiamo, in attesa che accada l’irreparabile, attenti al gioco di vedo-non vedo che dà forza e potenza alla messa in scena: c’è tutto quello che non c’è, si vede tutto quello che non si vede.
Il fulcro dello spettacolo si costruisce anche su questa dicotomia di spazi e di visioni, tra quel “dentro” che ci viene palesato, spesso specchio di sfumature comiche, grottesche, di menzogne sociali e finzione, e il “fuori” che appena scorgiamo, certamente tragico, dove si nascondono elementi necessari, veri, dirompenti, essenziali. Antitesi che ritroviamo anche nel personaggio di Hedda, la quale, seppure non svincolandosi mai da un’asprezza impenetrabile, è quasi costretta ad abbandonare la propria corazza indotta lasciandosi andare a una fragilità che non è in grado di accogliere.

“Il vero spirito di rivolta consiste nell'esigere la felicità qui, in questa vita.”  Henrik Ibsen.

Giulia Focardi 08/07/2017

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