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Elisabetta di Wied e Carmen Sylva: il ritratto storico-immaginario della regina-poetessa nello spettacolo di Maria Inversi

Il 3 e il 4 dicembre il Teatro India ha ospitato in prima nazionale “Elisabetta di Wied. Sotto falso nome”. Lo spettacolo, scritto e diretto da Maria Inversi, si presenta come un ritratto della regina romena Elisabetta di Wied, conosciuta presso il suo popolo come la “tedesca” e vissuta tra il 1843 e il 1916.
Su questa figura di donna e regina dalle idee “rivoluzionarie” e in anticipo sui tempi molto deve essere ancora detto e conosciuto, ma nel racconto della Inversi la protagonista è dipinta e giocata tutta sul filo sottile che divide la realtà storica dall’immaginazione dell’autrice. Maria Inversi, inoltre, servendosi dell’aiuto dell’interprete romena Tatiana Ciobanu, prende spunto anche dalla produzione poetica della regina che componeva sotto lo pseudonimo di Carmen Sylva.Elisabetta1

Regina e poetessa, donna del popolo e letterata, la figura di Elisabetta viene espressa in scena attraverso la voce e il corpo di Valeria Mafera, accompagnata dal canto e dai suoni di Virginia Guidi.
Le due interpreti, disposte geometricamente sull’ampia scena della sala dell’India, compiono i passi scenici registicamente orchestrati dalla Inversi, alternandosi perfettamente tra canto e movimento, voce e corpo, luci e ombre, mentre ripercorrono la storico-immaginaria vita della regina: dalla passione per l’arte all’amore per il suo popolo, dal matrimonio con Carol I alla perdita della figlia, dalla voglia di evasione al viaggio in Italia.

Il nocciolo drammaturgicamente più interessante è da rintracciare proprio nella condensazione, in poco più di un’ora di spettacolo, delle numerose declinazioni che il vissuto di questa donna è riuscita a suggerire all’autrice che, non senza ironia, si rivolge esplicitamente al pubblico attualizzandone al massimo la figura.
Non solo: ciò che avviene in scena è una vera e propria assunzione da parte di Valeria Mafera/Elisabetta di un rapporto sempre più diretto con lo spettatore, mentre percorre la sala in diagonale avvicinandosi alla platea. Nel momento finale, poi, la quarta parete viene totalmente soppressa e l’attrice/regina si concede al giocoso rito di un selfie in tempo reale con una spettatrice, senza togliere, però, credibilità all’impianto generale.
Anche il canto di Virginia Guidi cambia registro: dapprima impegnata in vocalizzi sulle note di Brahms, Rossini, Mozart o Schubert, nel finale è invitata a cantare direttamente allo spettatore. Accompagnandosi con la chitarra acustica, regala al pubblico le forti parole di “Io canterò politico” di Bruno Lauzi, quasi a profetizzare quelli che di lì a poche ore sarebbero stati gli sviluppi politici del nostro paese.
Nel finale, complice appunto il delicato momento italiano, la suggestione e il riferimento alla situazione politica contemporanea è, infatti, molto forte. Forse senza essere intenzionale, è persino più forte del discorso sulla condizione della figura femminile, di ogni epoca o rango sociale, che, al contrario, sottende deliberatamente tutto lo spettacolo.

Gertrude Cestiè 06/12/2016

Foto: Carlo Christian Spano

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