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"Dove tutto è stato preso", lo spettacolo di Bartolini e Baronio al festival Teatri di Vetro

Ruota tutto intorno alla parola “casa” lo spettacolo “Dove tutto è stato preso” di e con Tamara Bartolini e Michele Baronio. Un sostantivo così semplice, essenziale nella sua brevità, ma allo stesso tempo fondamentale per la realizzazione personale di qualsiasi individuo.
Cos’è casa? Si chiedono spesso i due attori. È il posto in cui siamo nati? È il luogo dove scegliamo di vivere? Sono le quattro pareti che ci circondano? La famigla da cui veniamo o quella che ci costruiamo? È l’ambiente nella sua vastità? Per due sere, venerdì 20 e sabato 21 ottobre, “casa” sono stati anche il Teatro Brancaccino di Roma e il festival Teatri di Vetro. Sdraiati a terra, illuminati da un leggero chiarore, Baronio e Bartolini hanno infatti accolto il pubblico nella piccola e accogliente struttura capitolina. Nessun sipario a dividere la scena. Gli attori sono già sul palco, mentre in penombra gli spettatori prendono posto, entrando in una dimensione privata, nella “casa” appunto di questo uomo e di questa donna che, abbracciati a terra sembrano non curarsi minimamente del chiacchiericcio della sala.Dovetuttoèstatopreso02

La scenografia è minima, perfetta per mutare con il testo drammaturgico nelle varie declinazioni di casa, dietro di loro una struttura in metallo con appesi dei body per neonati, intorno un’oscurità profonda con cui i due giocano per tutta la durata dello spettacolo per creare, costruire, ma anche distruggere di volta in volta le differenti tipologie abitative in cui si immergono. Passando da monologhi a dialoghi i due attori cercano di rispondere al quesito iniziale, cos’è casa, ampliando la propria riflessione sull’intero mondo in cui ci troviamo a vivere. Una casa, grande, molto grande, di cui abbiamo smesso di prenderci cura. Un posto abbandonato, trascurato, lasciato in balia dei tarli, che dall’interno, proprio come fanno con i mobili in legno, lo stanno rosicchiando ora dopo ora. Un luogo, ormai ricoperto di polvere, generata dalle macerie che ogni giorno noi uomini provochiamo. Ecco allora che la parola “casa”, nonostante la sua esigua forma assume un peso enorme, diventa uno spazio non solo privato, ma anche comunitario, in cui ogni cosa è stata presa, rubata, dal sistema in cui siamo immersi e da cui nonostante i nostri sforzi non riusciamo a ribellarci.

Dovetuttoèstatopreso03Persino le parole sembrano esserci state rubate in questa grigia contemporaneità, ecco perché gli attori decidono di affrontare questa riflessione esistenziale accompagnando i discorsi a un continuo movimento scenico, prima lento, poi veloce, assecondando i pensieri prima razionali e rassegnati, poi folli e rivoluzionari, sempre accompagnati dalla musica della chitarra di Baronio. Determinante in questa presa di coscienza è senza dubbio il gioco di luci con cui i due attori accompagnano la narrazione drammaturgica, luci fredde quando si tratta di constatare cosa siamo diventati, che diventano basse e calde per riportare lo spettatore a una dimensione di convivialità e familiarità, necessaria per reagire e restituire una casa migliore alle generazioni che verranno.
In fondo che cos’è casa se non il luogo, qualsiasi luogo, dove c’è amore?

Eleonora D’Ippolito
22/10/2017

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