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DOIT Festival 2017 Il drappo rosso delle Antigoni di Scampia

Antigone contro le leggi degli uomini. Antigone contro il potere. Antigone “mezza dentro e mezza fuori”: fuori dalle mura tebane o in mezzo agli spacciatori di Scampia. Antigone e la Guerra.

Dall’esperienza laboratoriale con un gruppo di donne di uno dei quartieri napoletani più tristemente noti alle cronache del nostro paese, nasce Antigone a Scampia. Il testo drammaturgico frutto di questo lavoro documentario è stato tradotto dalla stessa autrice, Serena Gaudino, in ANTIGONE – Metamorfosi di un mito che lo scorso anno ha vinto il premio ARTIGOGOLO 2016, concorso internazionale di drammaturgia contemporanea in collaborazione con il DOIT Festival – Drammaturgie Oltre il Teatro. Ed è proprio questo spettacolo ad aprire la terza edizione del DOIT – rassegna a cura di Angela Telesca e Cecilia Bernabei e prodotta da ChiPiùNeArt Associazione culturale – con 8 rappresentazioni in scena all’Ar.Ma Teatro dal 14 marzo al 9 aprile.Doit

L’intransigenza di Creonte a dare degna sepoltura a Polinice, il figlio di Edipo, sconfitto dal fratello Eteocle, perito anch’egli per la lotta al trono di Tebe, fomenta la sorella dei due contendenti, Antigone appunto, a ribellarsi al volere del re, ritenuto empio e sacrilego. Creonte non può tollerare che un suddito, per di più una donna, si ponga al di sopra del suo volere e collochi la legge degli dei al di sopra di quella dello Stato. Fa, dunque, imprigionare la giovane, condannandola a vita in un grotta: Antigone, disperata, si toglierà la vita. L’empietà di Creonte porterà a far avverare le parole dell’indovino Tiresia, facendo sprofondare in una spirale di dolore e morte l’intera famiglia del re tebano.

Dalla lettura della tragedia di Sofocle attraverso la lente delle vite di donne diverse, la Gaudino indaga la condizione femminile: la spoglia, la stralcia e la ricompone, la frammenta e la riporta a uno, sospesa sul filo della drammaturgia classica e tessendo con foga, in un unico arazzo, storie diverse ma drammaticamente affini.

Tiziana Irti, diretta da Giancarlo Gentilucci, si smembra continuamente nei 45 minuti di spettacolo – dall’esperienza della filosofa Simone Weil alle ribellioni delle donne di Scampia – per poi ricomporsi nel corpo di Antigone, legandole insieme con un drappo rosso e vincolandole alla scena con la pesante catena che l’attrice porta al collo.

Non si vuole rileggere Sofocle e scovarne le tracce nella modernità, si tratta piuttosto di disegnare la struttura arcaica della natura umana, indagare, attraverso l’esperienza del mito, cosa spinge una donna a sfidare un corpus di valori coatto. Una drammaturgia che non lascia da solo il pubblico a districarsi tra le parole del mito ma che istruisce lo spettatore attraverso gesti reiterati, il “drappo rosso” della messa in scena di Gentilucci: rigorosi e geometrici nel descrivere il sistema, fluidi ma drastici nelle Antigoni della Gaudino.

Antigone – Metamorfosi di un mito, nonché la tragedia sofoclea, altro non sono che un monito. Antigone e Tiresia tentano, ognuno a suo modo, ciascuno con i propri attestati apotropaici, di salvare Creonte “l’empio”, colui che ha deciso di sfidare la legge degli dei e di imporsi egli stesso come Stato, inseguendo – e ottenendo – il favore del coro degli anziani, drappelle del potere.

“Che prodezza è uccidere un morto?”, tuona Tiresia? Che prodezza è, rispondiamo noi, giocare al tiranno in zona franca, amplificare il vuoto seminato dall’abbandono dello Stato? E allora, forse, questo testo porta a riflettere su cosa significhi allungare le ombre sulle zone più vulnerabili delle città, abbandonare gli ignari a se stessi e alimentare la guerriglia degli innocenti. Ci porta a ragionare sulle periferie urbane e i suburbi familiari, sulle prodezze di queste donne costrette a farsi fiere – nel senso più animale del termine – per difendere la propria casa.

Federica Nastasia
18/03/2017

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