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Circumnavigando: Genova capitale del circo contemporaneo tra sogno ed evoluzioni

“Ci sono molte teorie sul teatro. Dovrebbe educare la gente o ispirarla, rispecchiare la vita o cambiarla. Beh, io gli concedo tutto ciò, purché faccia anche spettacolo. Perché a mio parere lo scopo del teatro, dal dramma greco al circo, è di interessare.” (David Niven)
“Non potrei vivere senza circo! È un gran zibaldone in cui invecchi senza accorgertene.” (Moira Orfei)

La Genova di fine anno sa di mare e divenire, colorata, scontrosa, vivace, cruda. Dalle geometrie verticali, i vicoli stretti e scuri, gli sguardi che si perdono all’insù tra scritte e disegni sui muri, si scivola verso l’orizzonte più vasto del Porto Antico, dove il brulicare di famiglie in festa si confonde a gruppi di diverse etnie. È in questa moltitudine che da quindici anni Boris Vecchio organizza Circumnavigando, con la sua associazione culturale Sarabanda: il festival internazionale di teatro e circo contemporaneo che, per due settimane, a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno, ha avvolto la città, facendola vibrare, ridere e sorridere, riflettere e, immancabilmente, sognare, attraverso una cinquantina di spettacoli, 16 compagnie - provenienti da Italia, Belgio, Francia, Spagna, Guatemala, Argentina, Brasile – e una rete virtuosa e originale di location che, tra la bellezza monumentale di Palazzo Ducale e l’essenzialità buona del teatro Altrove, ha il proprio baricentro nel tendone da circo allestito al Porto.
Il nostro primo approccio con questa dimensione fantastica avviene con Dare D’Art, compagnia francese tra le prime a sperimentare l’avventura del cirque nouveau, che ha accompagnato la gremita Piazza San Lorenzo in un viaggio all’interno della storia del circo, senza animali – se non quelli creati dall’immaginazione - senza cannoni di stelle né trucchi, ma con gli effetti speciali di cui certi esseri umani sono dotati. Giocolieri, trapezisti, equilibristi, musicisti, saltimbanchi di estrema bravura e ironia, hanno finto goffaggine e insicurezza per esaltare una serie di prestazioni in crescendo fino al finale con il funambolo ad attraversare la piazza. Come a suggerirci che il circo di strada nasce dall’improvvisazione di chi lo fa, per mantenere inalterati i sogni centenari del pubblico in attesa di suoni e stupore.
E lo stupore fa spesso rima con semplicità come testimonia il “Circo delle bolle di sapone in su”, della Compagnia Ribolle, lo spettacolo con più repliche all’interno della rassegna. Tre ottimi performer si scatenano, tra balletti e comicità, nel riempire di bolle e schiuma il Tendone, guidati da un Mangiafuoco invisibile ma onnipresente, abili nel creare uno show vivace, colorato e leggero dove l’incanto sta nel fare bolle sempre più grandi con oggetti diversi o anche solo con l’uso delle mani. Ideale per le famiglie, ma anche per bambini “sempreverdi”.
L’apertura degli spettacoli all’Altrove è stata affidata a due giovani compagnie spagnole: la Es (i due sono originari dell’Argentina) con “Igloo” porta in scena il tentativo di sopravvivenza al possibile raffreddamento emozionale, problema che nell’era dei Social e della sovrapposizione tra amicizia e “contatto” ci riguarda da vicino. Eva Szwarcer ed Emiliano Alessi Sanchez dialogano, tra delicate coreografie e numeri da circo (giocoliere lui, trapezista lei), tra le stanze immaginarie, delineate da linee di nastro isolante usato al momento, come due estranei a un primo incontro. C’è gioco e curiosità, paura e chiusura, audacia e dolcezza, in un continuo accostamento di opposti – avanza lui, si ritrae lei e viceversa – e di prove di resistenza: all’altro di fronte a noi, a noi stessi, al freddo esterno che non può ne deve entrare. Bravi nelle singole discipline, ma risentono della mancanza di una regia strutturata che faccia da rete e collante.
A seguire, il work in progress di Kerol, “Oxymoron”: un giovane uomo, vestito con abiti tradizionali giapponesi, pattina con sicurezza ed eleganza sul piccolo spazio scenico del teatro, muovendosi con una katana tra le mele appese e sospese a mezz’aria. C’è lotta, i frutti vengono colpiti in un vorticoso e intenso gioco, e ricerca di un equilibrio perfetto e duraturo, per questo i colpi di spada sembrano quasi più un tentativo di liberazione. O forse è quello che vogliamo vedere, perché, come dice Kerol stesso, “non c’è niente da capire”. Una narrazione in fase embrionale finalizzata all’esaltazione delle capacità dell’artista spagnolo, che, con veloci cambi d’abito, muta registro e snocciola con maestria tutte le sue doti di beatboxer e di giocoliere. Stravolge il linguaggio scenico, ma continua a incantare il pubblico che diventa parte attiva dello spettacolo e lo ripaga con empatia immediata e un entusiasmo palpabile.
Il Palazzo Ducale, invece, ci riserva la sorpresa più bella della nostra breve visita al festival, “Juri un clown nello spazio”, lo spettacolo – qui presentato in prima assoluta – di Giorgio Bertolotti e Petr Forman, figlio del celebre regista Milos. Un igloo, una porzione di sfera che tanto ci ricorda la Geode parigina, incastrato nel cortile del palazzo, è la scatola dei sogni di un astronauta clownesco. Il viaggio diventa (quasi) reale all’interno di una navicella spaziale che tutto esalta, immaginazione e sensi. Juri si lancia alla scoperta dello spazio portandosi dietro un piccolo pubblico scelto e tra comunicazioni interstellari e una malinconica ricerca della quotidianità – c’è Drupi in loop mentre uno schermo trasmette partite di calcio, film di Buster Keaton, corsi di aerobica fai-da-te – dà la possibilità ai fortunati passeggeri di sentirsi altrove e fuori dal tempo. Bertolotti è bravissimo a mimare i movimenti rallentati dello spazio, ma ancor di più a costruire uno spettacolo che fa riflettere e porta lontano, indaga i limiti fisici ed emotivi consentiti all’uomo, le paure che prima o poi ci troviamo ad affrontare (solitudine, silenzio, vuoto, morte, infinito) regalando riso e sorriso. Una piccola perla, un volo poetico che mai perde di leggerezza.

Giulia Focardi 08/01/2015

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