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“Ciascuno è attore della propria danza”. Il messaggio di Monica Vannucchi attraverso il ricordo di Trisha Brown al Festival RomaEuropa 2017.


RomaEuropa da spazio non solo a performances d’avanguardia ma anche a masterclasses e talk di alto spessore culturale. Nel pomeriggio di mercoledì scorso ha avuto luogo presso l’Opificio del REf l’incontro con Monica Vannucchi, vicedirettrice e docente di danza contemporanea dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico. La professoressa ha presentato il suo libro “Corpi in bilico” in cui si racchiude il suo metodo didattico maturato nei 25 anni di insegnamento nella prestigiosa istituzione romana. Come figura-icona della sua esperienza di danzatrice e insegnante ha scelto la ballerina e coreografa Trisha Brown. La grande artista statunitense, scomparsa poco più di sei mesi fa, ha lasciato un profondo vuoto nel mondo coreutico internazionale. Si tratta di una delle fondatrici della post-modern dance americana che viene ricordata per aver segnato la storia di Romaeuropa Festival con alcune delle sue più importanti creazioni recuperate dall’archivio della Fondazione e tramite le testimonianze di artisti e addetti ai lavori.
Ad introdurre l’incontro è stata Monique Veaute, presidente della Fondazione RomaEuropa e ambasciatrice internazionale della cultura contemporanea, che ha evidenziato come il REf continui ad incentivare il rapporto con le arti contemporanee e ha ripercorso le tappe attraverso le quali Trisha Brown si pose come figura rivoluzionaria all’interno del Festival con le sue performances. Il suo modo tutto nuovo di utilizzare lo spazio camminando sospesa sulle pareti equipaggiata di funi e corde l’aveva portata ad essere definita come “la signora della giungla urbana”. Monica Vannucchi ha proposto subito la visione di alcuni frammenti di “Opal Loop”, “Foray Forèt”, “Spanish Dance”, e “Watermotors” andati in scena all’Accademia di Francia, al MAXXI e al Teatro Olimpico tra il 1989 il 2011 e che ben rendono l’idea di disinvoltura e autenticità della danza post-moderna. La docente ha spiegato poi come nelle pagine del suo libro, citi spesso la coreografa americana con la quale sente di avere un enorme debito per suo lascito culturale. “Trisha era in grado contagiare il pubblico con la sua naturalezza e apparente semplicità. La sua spontaneità consente a ognuno di noi di essere “attore”, e quindi “autore” di una propria danza originale, bellissima ed espressiva”. Questo messaggio ci riconduce alla spiegazione dei concetti fondamentali che costituiscono i pilastri del metodo didattico della professoressa Vannucchi: presenza, permeabilità, livello di definizione formale, transizione e, infine, il duplice concetto di pensiero-immaginario.monica2 Trisha non sembrava preoccuparsi del risultato formale finale che il suo movimento avrebbe raggiunto cercando piuttosto quella ricchezza espressivache sta nell’ambiguità del “non finito”. Allo stesso modo la docente dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico conferma di ispirarsi nel suo lavoro proprio a quella tecnica di ascendenza browniana che consiste nell’abbassare il livello di definizione formale. “I primi anni in cui insegnavo in Accademia ero ancora affascinata, essendo una danzatrice, dalla ricerca della perfezione formale. Ma nella pratica didattica ho capito che il raggiungimento di questo fine era inutile e frustrante per gli allievi-attori che avevano un diverso scopo artistico-formativo. Preoccuparsi della forma non solo impediva agli studenti di realizzare un gesto poetico forte ma toglieva loro anche quelle energie necessarie per creare una visione sensoriale del gesto e rendere l’azione un atto “teatrale”. Perciò ho iniziato ad abbassare le mie richieste dal punto di vista esecutivo-formale e mi sono accorta che riuscivo ad ottenere, in tal modo, un senso del movimento e dello spazio, dando significato a tutte le azioni grandi o piccole che fossero. Direi che più che abbassare il livello di definizione formale si tratta di modularlo” Molto preziosi sono stati gli interventi di Donatella Bertozzi, la storica giornalista e critica di danza del Messaggero, che ha posto l’accento sul fatto che da Trisha Brown a Monica Vannucchi sia avvenuta soprattutto la trasmissione del concetto di presenza. “Essa è la proiezione viva del corpo. Il giovane attore è impegnato nel comprendere con chi relazionarsi in scena. Il danzatore ha una relazione con se stesso, una consapevolezza del suo corpo che coltiva quotidianamente. Monica ricompone questa rottura creatasi tra teatro e danza”. Importanti anche le parole di Lorenzo Salveti, ex direttore della “Silvio d’Amico” e autore della prefazione di “Corpi in bilico” nella quale ripercorre la storia dell’insegnamento della danza in Accademia. Salveti la definisce non una semplice scuola ma una palestra dove docenti e allievi sperimentano insieme”. Si è sentita, infatti, l’esigenza di abbattere le barriere tra le varie discipline artistiche. Per questo si è deciso di insegnare una materia chiamata “danza” e sperimentare così le potenzialità espressive del nostro corpo. “Solo quando un attore riuscirà a ottenere la contestualità di queste potenzialità espressive il suo lavoro diventerà finalmente interessante”. Trisha Brown ha alimentato il fuoco della rivoluzione scoppiata in nome di una danza democratica, quello che divampa dalla fiamma precedentemente accesa da Isadora Duncan che aveva rinnegato il balletto in nome della sua danza libera. Per questo tra i maggiori esempi proposti da Monica Vannucchi ai suoi studenti c’è proprio Trisha Brown. Invitare i giovani attori a danzare come lei significa dare loro quel livello di concentrazione sul senso del movimento o della parola. Ed è un senso che non necessita della definizione formale bensì di consapevolezza


Roberta Leo

08/10/2017

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