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“Soirée Française” a Roma: cinquanta sfumature di bianco con il corpo di ballo del Teatro dell’Opera

È tutta francese l’ispirazione della soirée in programma al Teatro dell’Opera di Roma dal 28 gennaio al 3 febbraio con il dittico “Suite en blanc” di Serge Lifar (coreografia ripresa da Claude Bessy) e “Pink Floyd Ballet” di Roland Petit (già ripreso da Luigi Bonino per Caracalla). E francesi sono, d’altra parte, la formazione e la carriera della pur sicilianissima Eleonora Abbagnato, dal 2015 direttore del corpo di ballo del Teatro Costanzi. La carismatica étoile è meritevole di aver portato una ventata di primavera al balletto romano, operazione di successo come mostra la scelta di aprire la stagione lirica romana  in corso con il “Don Chisciotte” appositamente coreografato da Laurent Hilaire: per la prima volta un balletto – e non un’opera – è investito di questo onere-onore. Peccato sia stato fatto passare in sordina dalla “Damnation de Faust” di Damiano Michieletto, in ideale competizione con la prima scaligera che lo aveva preceduto di qualche giorno. L’apporto della Abbagnato è un’ellisse che poggia sui due fuochi dell’internazionale (spesso sinonimo di Francia) e del contemporaneo: l’intramontabile tradizione classica è restituita ampliata, aggiornata (come l’applauditissimo “Schiaccianoci” di Giuliano Peparini), oppure accompagnata da soirées a tema, vetrine privilegiate in cui si offrono stimoli nuovi all’altrimenti bell’addormentato pubblico romano.
Serge Lifar, coreografo ucraino trapiantato in Francia, realizza la sua “Suite en blanc” per la compagnia dell’Opéra Garnier (1943) recuperando le musiche del balletto “Namouna” di Édouard Lalo (1882), a suaSoiree Francaise Pink Floyd BalletYasuko Kageyama Opera Roma Caracalla 2015 volta ispirato dal poema omonimo di Alfred de Musset (1831). Con un fil rouge, anzi blanc, si ripercorrono due secoli di storia francese e di storia della danza, dal ballet blanc romantico alla Giselle fino alla rivoluzione perpetuata da Lifar stesso nel cosiddetto stile neoclassico. Susanna Salvi, prima ballerina impegnata nel pas de trois del secondo quadro, a proposito dell’impressionante difficoltà tecnica di queste coreografie confessa, divertita, che si tratta di una sfida. In una struttura a parade di situazioni e pose convenzionali del balletto rivisitate dall’estro innovativo e dal cesello purista di Lifar, pur nell’estraneità ad ogni logica narrativa la forza evocativa della musica e della gestualità riesce a raccontare mille e una storie. Nella “Sieste” i grandi tutù bianchi omaggiano le villi di “Giselle”, mentre una combinazione di tre gruppi di quattro ballerine ricorda il pas de quatre del “Lago dei cigni” e, ancora, il pas de cinq su musiche spagnoleggianti dei ballerini al quarto quadro riporta alle ambientazioni picaresche del “Don Chisciotte”. Innegabile è il riferimento alle punte di diamante del repertorio ottocentesco anche nel grand pas de deux dell’ “Adage”, per il quale si esibisce Eleonora Abbagnato in coppia con Michele Satriano.
Trent’anni e trenta minuti più tardi (tale è la durata dell’intervallo, funzionale alla sistemazione sul palco delle attrezzature necessarie a supportare una scenografia di fasci di luce geometrici), a regalare Un’esperienza immersiva è “Pink Floyd Ballet” di Roland Petit, creato nel 1972 su richiesta dell’adorazione entusiasta e infantile della figlia per la musica della band inglese. Interessante ricordare che la programmazione degli eventi culturali capitolini del 2018 celebra i Pink Floyd anche con una mostra al Macro. Protagonista assoluto di questa creazione di Petit è il corpo di ballo che, come creta nelle mani del coreografo, dona spessore e azione a sonorità e ritmi che infervorano le folle dei palchetti all’italiana come ad un concerto rock. Le luci di Jean-Michel Désiré abbattono la quarta parete e creano un’atmosfera da guerre stellari, in perfetto accordo con la musica e con i gesti dei ballerini, un misto di pantomima, di gioco alla corda, di box, di salti, piroette e flessioni. Si distinguono in particolare i solisti maschili, Alessio Rezza e Claudio Cocino, scolpendo con i loro corpi uno spazio attraversato dalle proiezioni luminose. Stranamente familiare al pubblico di trasmissioni televisive come “Danza con me” di Roberto Bolle e “Amici” di Maria de Filippi, forse straniante per il pubblico più tradizionale nella commistione di punte, tutine bianche e coreografie da musical in salsa rock, eppure capace di scatenare una vera e propria standing ovation e addirittura un bis al pubblico dell’anteprima, il “Pink Floyd Ballet” rappresenta una finestra verso il futuro del mai immobile mondo della danza.
Lo spettacolo, nel titolo e nel suo annunciarsi, è stato definito un omaggio alla Francia. E lo è. Più ancora, però, è un viaggio nelle infinite potenzialità espressive e comunicative del corpo umano nel suo sposalizio con la musica. È un atto di amore verso la danza.

Alessandra Pratesi 29/01/2018

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