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"Bhinna Vinyasa": viaggio in Oriente per incontri catartici

Le sfumature dell’Oceano e i colori dell’Oriente si riflettono sui corpi dei danzatori della “Attakkalari Company”. Così la principale compagnia di danza contemporanea indiana ha aperto il “Summermela”, il festival di cultura e arte indiana che la fondazione Find organizza e promuove dal 2013 a Roma, Zagarolo e altre città d’Italia. La manifestazione, il cui nome racchiude in sé il termine sanscrito mela che significa letteralmente incontro, indica un prezioso momento di confronto e conoscenza delle espressioni artistiche indiane. Il primo appuntamento della rassegna ha visto protagonista sul palco del Teatro Argentina “Bhinna Vinyasa” l'ultima creazione del coreografo indiano Jayachandran Palazhy.

Lo spettacolo, basato sugli antichi concetti dell’“ātman (anima individuale) e del paramātman (anima universale) è un continuo esplorare il percorso di vita dell’esistenza umana. Come un fiume in piena, si racconta “il divenire” di uomini e donne, storie prive di argini nello spazio e nel tempo. Per citare Eraclito, “panta rei” è sicuramente la massima a cui è ispirata tutta la coreografia. Ma il dinamismo e la mutevolezza di cui tanto parlava il filosofo greco non è altro che il tentativo costante di raggiungere la perfezione secondo criteri matematici. A tal fine è stato preziosissimo il contributo del media artist Luca Brinchi e del light designer Shymon Chelad che hanno creato scene multimediali e disegni di luci raffiguranti onde stilizzate dalle mille sfumature di blu. I movimenti dei danzatori, abbigliati con costumi tipici indiani dalla stoffa leggera color del mare, tracciano il percorso di un viaggio metafisico. summer2Andando oltre le coordinate spazio – temporali raggiungono figure precise e squadrate come le bianche pietre di marmo sulle quali ricercano il loro equilibrio. Su queste i ballerini si arrampicano e si sdraiano, facendone piccoli dirupi o comodi sofà. La ricerca della precisione assoluta, del numero perfetto si fa sempre più maniacale. I corpi abbandonando la morbidezza e la fluidità iniziale lasciando spazio alla meticolosa cura dei piedi, delle mani, dei polpastrelli che disegnano invisibili funzioni algebriche, segni incomprensibili tanto quanto affascinanti. La firma sonora del compositore tedesco Martin Lutz accompagna la performance con elementi musicali caratteristici dell'India Meridionale. Si disegna, così, una partitura punteggiata da paesaggi elettroacustici che rimandano a suoni dall'effetto primitivo.

Come sempre, o quasi, la danza racconta qualcosa e, questa volta, narra le storie di uomini e donne. Come le avventure ammalianti de “Le mille e una notte”, parla di migrazioni di popoli, mutazioni ambientali, esperienze sensoriali. Temi attuali ma carichi di tradizione.  Per un finale assolutamente catartico.

Roberta Leo 04/07/2017

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