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1917-2017: quel che resta di una rivoluzione in mostra alla Galleria del Cembalo

La fotografia destituita è la protagonista della mostra fotografica allestita nelle stanze della Galleria del Cembalo fino al prossimo 11 novembre. Due autori e tre progetti –“The April Theses”/”In the Russian East”/”Ritual” – per deporre la fotografia dalla sua funzione documentaria e farla precipitare nel vuoto dei cento anni che separano la Rivoluzione d’Ottobre dalla Russia putiniana neo-zarista. La rivoluzione fa il suo ingresso nell’era della post-verità, che la mastica e la sputa senza pietà.
E a condurre l’osservatore alla scoperta dello stato di salute della Russia e dei principi rivoluzionari, i due artisti: Davide Monteleone, visual journalist appassionato di reportage nei Paesi dell’Ex unione Sovietica, e Danila Tkachenko, artista di origini russe che mantiene la sua terra natia al centro della ricerca visiva.
E ci si sofferma, incrociando biografie e immagini, inevitabilmente sull’età dei due autori: il primo, nato nel 1974, solo qualche anno prima che salisse al potere Brežnev; l’altro, classe 1989, nato alla vigilia dellaTkachenko1 dissoluzione, proprio quando il cigno levava il suo ultimo canto.
Con “Ritual”, Tkachenko dà tutto alle fiamme: con uno spirito critico fin troppo accentuato, ma anche con la speranza di redenzione e purificazione, il fotografo russo ricorre al fuoco per rendere macroscopiche delle opposizioni semantiche e cromatiche. Una casa, un villaggio, dei pezzi di legno sagomati come forma geometriche diventano, in allegoria, le tradizioni secolarizzate, le istituzioni, la norma. Tutto in un rogo ineludibile e composto.
Dall’altra parte, invece, Monteleone sviluppa il primo dei suoi progetti fotografici sulla falsariga di “In the American West”, la serie di scatti in cui Richard Avedon ritraeva i suoi soggetti in piena luce servendosi di un telo bianco alle loro spalle in set improvvisati e ricavati nelle fiere di paese, nelle stazioni di servizio e in altri posti inconsueti. Allo stesso modo, Davide Monteleone intraprende il suo viaggio verso le estreme propaggini della Russia, come testimoniano anche i tratti somatici dei soggetti immortalati, e non fa mistero di un certo corteggiamento verso l’american way of life. La tunica monacale è Monteleone1una divisa, tanto quanto quella (paramilitare) di un gruppo di studentesse, o del prulidecorato reduce di guerra, impettito ma quasi proteso in avanti per il peso eccessivo delle medaglie appuntate sulla giacca. Allo stesso modo, diventa uniforme un busto nudo ma ricoperto interamente di tatuaggi, come trofei o cicatrici belliche.
Ma se nella ricerca visiva di Monteleone, da una parte, si staglia l’umanità con le sue innumerevoli sfumature, dall’altra si delinea il monolite: la pietra nera verso cui i fedeli si rivolgono. Vladimir Il'ič Ul'janov detto Lenin. Emblema e icona della rivoluzione, viene fatto rivivere in “The April Theses”, una serie di scatti che combina l’elemento naturale con la tipica posa del celebre tovarišč. La riva di un lago, una spiaggia, un bosco vengono intervallati dalle riproduzioni di documenti dell’epoca: piazze gremite e piazze vuote vengono messe le une accanto alle altre, targhe affisse ai muri come memento e appunti fitti di parole vive, incandescenti.
Immagini , queste, che chiudono la mostra e indirizzano il visitatore verso una dimensione ai limiti del grottesco, in cui sopravvivono solo le copie de “Il diritto dei popoli all’autodeterminazione” e i sosia del suo autore. Forse a ricordare che quando un secolo passa, probabilmente non passa invano, ma lava via i colori, sbiadisce inevitabilmente gli ideali e fa diventare un rigagnolo quella fiumana dirompente che, solo cent’anni prima, spezzava gli argini.

Letizia Dabramo
01/10/2017

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