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Al Teatro Due, “Maternità inattesa”: Recensito incontra Marco Pizzi, Valerio Puppo e Marialucia Bianchi

Debutterà il prossimo 21 aprile presso il Teatro Due di Roma, dove resterà fino al 23, “Maternità inattesa”, spettacolo scritto dall’esordiente Marco Pizzi. Inserito nell’ambito della rassegna “Lei – attraversamenti in territori femminili”, il testo racconta di una giovane coppia alle prese con il probabile arrivo di un figlio.
Recensito si è intrufolato durante le prove, incontrando l’autore, il regista Valerio Puppo (reduce dalla collaborazione come aiuto-regista in “Emilia” di Claudio Tolcachir) e la protagonista femminile Marialucia Bianchi.

Marco, raccontaci di cosa parla questo tuo lavoro e com’è nato.maternità2

"È la storia di Anna, una giovane ragazza che ha un ritardo nel ciclo e teme di essere incinta. Questo, chiaramente, le crea una serie di paure che mette in crisi il rapporto con il suo ragazzo, Luca, un attore che ha avuto notizia di un ingaggio importante che lo porterà lontano da casa.

Queste due notizie, contrastando, danno vita al dramma. La possibilità di avere un figlio, poi, fa uscir fuori problemi che c’erano già, nella coppia, ma erano sotterranei: si scoprono allora alcuni inediti risvolti che andranno a destabilizzare anche la vita di altri due personaggi, Valentina e Carlo.
Lo spunto mi è venuto da un racconto di un amico, che ha avuto un problema di questo tipo con la ragazza. Da questo fatto reale, ho pensato si potesse partire per ampliare la gamma degli argomenti da affrontare. L’idea di avere un figlio analizzata nei suoi due opposti: da un lato la gioia, dall’altro la paura e la responsabilità di crescerlo. Con il fatto poi che insegno [matematica e fisica, ndr] da alcuni anni in dei licei, ho sempre sotto gli occhi giovani ragazzi con alle spalle spesso genitori separati, o altre situazioni non proprio facili, e mi capita di chiedermi: cos’è successo 15, 16 anni fa a quei due? l’hanno voluto davvero, questo figlio? se ne rendevano conto delle responsabilità che avrebbe comportato una scelta così?
Ma c’è anche una visione più pessimistica e ‘filosofica’, nel testo: fare un figlio vuol dire esporlo a tutti i mali del mondo che abbiamo continuamente sotto gli occhi. E proprio nel personaggio di Luca emerge questo punto di vista – non a caso, a un certo punto cita Schopenhauer: “È un atto d’irresponsabilità mettere al mondo un figlio”. Ma, come vedrete, il suo punto di vista verrà ridimensionato, indebolito: perderà di credibilità".

Quest’osservazione sul personaggio di Luca ce ne fa capire un po’ il carattere. Marialucia, tu che puoi dirci, invece, su Anna, la protagonista che interpreti?

"Anna è un personaggio essenzialmente solo. Vive un dramma che capisce solo lei, in una condizione che non controlla, come non controlla il proprio corpo, che potrebbe subire cambiamenti slegati dalla sua volontà. Questo è uno dei punti più critici: cercherà di spiegarlo, cercherà di spiegare che è in balia di qualcosa che non controlla. Ma non ci sarà chi potrà capirla. In tutto questo dramma, però, lei un figlio lo vuole. E lo vuole punto. È determinata ad averlo, nonostante tutto, a partire dal suo ragazzo, Luca, le remi contro. L’idea di una donna che concepisca la maternità come una realizzazione, oggi, in questa contemporaneità, risulta un po’ anacronistica.
Lei ha una volontà e una determinazione enormi nell’avere un figlio perché questa è la strada che ha scelto. E rinunciare a tutto pur di essere madre è qualcosa che io non farei. Per questo ho trovato interessante interpretarla: perché è un po’ il mio opposto. Io, in quanto attrice, mi sento paradossalmente più affine al personaggio di Luca, che non ha la minima intenzione di diventare padre rinunciando ai propri obiettivi".

Immagino sia stato difficile, quindi, entrare in quell’ottica. Come ci hai lavorato? c’è stato qualcosa che ti ha aiutato in particolar modo?

maternità3"Sì, i primi approcci sono stati un po’ critici. Poi, però, ci siamo concentrati a fondo su questo suo stato, sì, di preoccupazione ma anche di determinazione. La collaborazione con gli altri è stata fondamentale, abbiamo lavorato di scambi continui. Tra le altre cose, Valerio [Puppo, il regista, ndr] ci ha chiesto di portare una canzone che si addicesse al personaggio, per entrarci meglio dentro, ed è stato funzionale. Io ho scelto “Sara” di Venditti, che si chiude con le parole che potremmo dire ad Anna: Il tuo bambino, se ci credi, nascerà".

Marco, è evidente, anche dalle parole di Maria Lucia, che scrivere un testo su un argomento come la maternità apre a riflessioni di carattere fortemente sociale, politico. Oggi il teatro cosiddetto “civile” ha sempre più estimatori. Tu che idea ti sei fatto? te ne diresti affine?

"Non mi sento di dirti che sono per un teatro civile o politico. Sono per il teatro che rappresenta l’essere umano, in tutte le sue forme e sfumature, quindi, di conseguenza, il riflesso sociale e politico necessariamente vi rientra. Prima di questo testo – il primo che riesco a mettere in scena integralmente – ho scritto altre cose, varie per generi e contenuti, ma tutte accomunate dalla centralità dell’essere umano, come “Il mare di Majorana” [pièce sul fisico Ettore Majorana, scomparso misteriosamente a 31 anni, ndr] o “Solo con Falcone”, sul Maxi-processo.
“Maternità inattesa” in questo senso non è diverso: al centro ci sono i personaggi, cioè gli esseri umani. Mi piace definirlo un po’ il ‘dramma dell’incertezza’, perché quasi tutti i personaggi hanno dei dubbi, che sono dubbi umani".

Hai citato altri tuoi lavori, che però ancora restano solo testo scritto. “Maternità inattesa” si differenzia per qualcosa? È finora l’unico che ha una sua messa in scena...

"Gli altri lavori, sia “Majorana” che “Falcone”, hanno un limite nel numero di personaggi: il primo ne ha 10, il secondo 20. È complicato se non addirittura impossibile metterli in scena. E poi, rispetto a questo, avevano anche un’ideazione meno tradizionale. Là un po’ sperimentavo, ispirandomi a Arthur Miller, uno dei miei autori prediletti.
“Maternità” l’ho pensato e scritto apposta per semplificare la messa in scena. Anche a livello di scrittura: è un testo tradizionale, ma questo è naturale per me. De Francovich in un’intervista diceva che il teatro deve ripartire dalle commedie divise in scene in maniera tradizionale – fare questo, per me, era normale. Il regista, invece, all’inizio era sorpreso: ha notato ci fossero ‘le scene’! Infatti, lavorando alla realizzazione, ha dato un’impronta un po’ astratta che facesse da contraltare alla scrittura molto tradizionale".

Marco mi dà il La, Valerio. Chiudiamo con te: da regista, quanto produttiva e quanto invece limitante è stata questa ‘tradizionalità’ del testo?maternità4

"Il testo è tradizionale per il semplice fatto che è di parola, concreto e diretto, con gli attori che devono stare in scena e dirsi le battute. Effettivamente il lavoro che ho fatto punta su questa concretezza nel dirsi le battute: gli attori, guardandosi in faccia, devono marcare l’intenzione uno verso l’altro. E la difficoltà sta proprio in questo bel gioco, apparentemente semplice: non è facile stare uno di fronte all’altro a dirsi cose e parole scritte da qualcun altro. Non è facile, fra l’altro, nemmeno entrare in relazione: sul palco c’è sempre il rischio che tutto scada nell’artificioso.
Da un punto di vista visivo, poi, ho scelto di raggiungere quella stessa concretezza tramite l’essenzialità: la scenografia è scarna, scheletrica, per dare lustro a chi sta in scena. E a ciò che viene detto. Ma appunto: la cosa fondamentale sono le relazioni. Se si riesce a raggiungere la verità nell’interazione, nella parola scambiata, la scenografia, astratta e non realistica, acquista anch’essa concretezza".

Sacha Piersanti 16/04/2017

 

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