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Ritratto in jazz: Recensito incontra Tommaso Starace

La forza espressiva della musica di Tommaso Starace, jazzista italo-australiano nato e cresciuto a Milano, è affidata a immaginari metafisici. Oggi vive e lavora a Londra, dove crea elaborazioni musicali e parte dal bebop, dal cool jazz degli anni Cinquanta, per ricercare percorsi più silenziosi e intimisti. Amante dell’arte e della fotografia in bianco e nero affida all’immagine il compito di esprimersi e raccontarsi, attraverso la comunicazione della sua musica. Un’architettura sonora versatile, metaforica e fortemente cinematografica quella del suo ultimo lavoro. “From A Distant Past” è un quadro musicale favolistico, epico, contaminato da un flusso cinematico di sonorità cangianti; è un’opera gioiosa, melodica, ritmicamente incalzante e dal sapore antico. Il sassofonista Starace incide ancora una volta per la EmArcy (dopo il progetto su Michel Petrucciani e su Gianni Berengo Gardin), accompagnato questa volta soltanto dal pianista Michele Di Toro. Noi di Recensito lo abbiamo incontrato su Skype, per approfondire la realizzazione dell’ultimo progetto di uno dei migliori sassofonisti della scena italiana ed europea.

Dopo un primo ascolto di “From A Distant Past” si percepisce subito la complessità dell’architettura musicale. Rispetto agli album precedenti (“Tommaso Starace plays the photos of Elliott Erwitt”, o il progetto su Gianni Berengo Gardin) cosa è cambiato?
“La mia formazione viene dal bebop americano degli anni Quaranta, Cinquanta ed è la cosa che mi ha fatto decidere di suonare il sax all’età di 18 anni. Negli ultimi anni ho ricercato altro e mi sono avvicinato molto alla musica per film, in particolar modo alle composizioni di Ennio Morricone, ma anche al jazz di Stefano Di Battista, musicista romano che stimo molto. Pertanto negli ultimi due album ho voluto esplorare molto di più la melodia, anche perché nel jazz contemporaneo, anche qui a Londra e meno in Italia, si esplora più il jazz enfatizzando ritmi diversi, accordi particolari. Ho voluto attenermi a qualcosa di più melodico, di più italiano.”

Nel tuo passato musicale hai collaborato con importanti musicisti (Dave Liebman, Norma Winstone, Kenny Wheeler, Lian Noble, Paolo Fresu, Dario Marinelli), in quale impronta musicale ti riconosci di più?
“Non mi sento ancora un musicista formato, nel senso che non ho una voce e uno stile in particolare. Sto esplorando la parte melodica e cinematica della musica jazz. Continuo ad ascoltare i grandi jazzisti degli anni Cinquanta, per raffinare il mio linguaggio musicale, per renderlo sempre più complesso, ma allo stesso tempo semplice nell’esecuzione.”

Dopo l’esperienza con il Quartetto italiano (Tommaso Starace al sax alto e soprano, Michele Di Toro al pianoforte, Attilio Zanchi alla basso e Tommy Bradascio alla batteria), cosa ti ha portato a lavorare in una dimensione più intimista con il pianista Michele Di Toro? Perché la scelta di un duo?
“Quando mi guardo indietro voglio poter dire a me stesso di aver esplorato ogni possibilità. Michele Di Toro è un pianista classico e jazz, eclettico, può fare accompagnamenti vari. Avere lui accanto a me è importante. Lo conosco da anni ormai e so che è capace di creare dei mondi musicali pieni di colori.”

Tra le composizioni originali perché hai scelto di inserire un classico di Chick Corea, Children’s Song No. 6?
“Chick Corea negli anni ’80 crea dei brani dedicati ai bambini, delle filastrocche molto delicate, ma anche ricche di movimenti cromatici. Pertanto nel mio album cerco di invogliare l’ascoltatore a fare un salto nel passato, ad esplorare vicende epiche, mondi fiabeschi. Il brano di Chick Corea dà l’idea di uno stile impressionista, affine all’universo musicale di Debussy o Ravel, un po’ infantile, ma anche molto intrigante.”

“From A Distant Past” offre ampio spazio alla capacità immaginativa dell’ascoltatore e stabilisce con la realtà e con il tempo musicale una relazione profonda. Come avete lavorato tu e Michele Di Toro? Come avete definito la dialettica tra i due strumenti?
“Quando ho composto i pezzi ho dato importanza alla creazione di sonorità differenti, che riuscissero però a coesistere in un’unica dimensione. Conosco bene lo stile e il sound di Michele Di Toro e ciò che lui riesce a creare, elaborare. Ad esempio l’accompagnamento di Perseus And Andromeda l’ho composto interamente al pianoforte e successivamente l’ho consegnato a lui per l’esecuzione. Soundtrack ha invece un accompagnamento che ho realizzato in passato, circa cinque anni fa, ma che ho modificato. Nel brano A Trust Betrayed mi ispiro a jazzisti del momento, come Brad Mehldau o Branford Marsalis, quest’ultimo compone pezzi molto operatici, delle open ballads, dove non c’è un tempo preciso. Invece l’ultimo brano, La Favola Continua è un brano di Michele, composto per il terremoto dell’Aquila, caratterizzato da una melodia molto italiana, con poca improvvisazione, ma molto raffinata, cinematografica, intrisa di speranza. Lavorare con Michele è molto più semplice, perché c’è un’empatia profonda, ci conosciamo da dodici anni.”

Perché hai scelto il dipinto di Tiziano Vecellio, “Perseo e Andromeda”, nell’immagine di copertina e nel titolo del secondo brano dell’album?
“In passato ero appassionato di arte del Novecento (Giorgio De Chirico, Matisse, Max Ernst), ma negli ultimi anni mi sono interessato ai quadri del Seicento. Penso che rappresentino un mondo di silenzi, di natura, distante dal caos del mondo attuale. I quadri di Tiziano mi rilassano e mi danno una sensazione di pace. La mia composizione è come se fosse il riflesso dell’immagine della copertina, la sua rappresentazione musicale.”

Sei un giovane jazzista italo-australiano. Vivi e lavori a Londra, ma collabori anche con musicisti italiani. Cosa ne pensi del panorama jazz in Italia?
“Penso che in Italia ci siano molti validi musicisti, come Enrico Pieranunzi, Stefano Di Battista, Paolo Fresu. Sono capaci di incorporare elementi melodici nella musica e penso che questo sia un punto di forza del jazz italiano. In Inghilterra, invece, c’è sicuramente più elaborazione ritmica.”

Progetti per il tuo futuro?
“L’amore per la fotografia in bianco e nero mi sta spingendo verso un progetto fotografico legato al jazz. Dedicato a Robert Capa, il mio fotografo preferito. Voglio che sia un lavoro di repertorio, prima Erwitt, poi Berengo Gardin, ora Capa. Resto comunque un attento osservatore della produzione dei miei dischi e di tutti gli aspetti connessi alla loro creazione.”

Serena Antinucci 04/02/2016