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Torino: al Regio Sergey Galaktionov con brani Bettinelli, Mendelssohn e Schubert

Sergey Galaktionov, maestro concertatore e violino solista, sul podio dell’Orchestra del Teatro Regio ha presentato un variegato e interessante programma con brani di Bettinelli, Mendelssohn e Schubert. Galaktionov, violinista russo, classe 1970, già vincitore del prestigioso Concorso Viotti nel 2000, ha collaborato al fianco di musicisti di prima grandezza quali Claudio Abbado, Michail Pletnev, Vladimir Jurowsky. Dal 2004 ricopre il ruolo di Primo Violino dell’Orchestra del Teatro Regio, con la quale ha eseguito, in veste di solista e concertatore, numerosi concerti.
Di Bruno Bettinelli, compositore e didatta italiano di grandissima caratura, insegnante di artisti quali Claudio Abbado, Riccardo Chailly, Riccardo Muti e Maurizio Pollini, sono state eseguite “Due invenzioni per archi” del 1939; brani nei quali la sintesi tra le forme classiche e le avanguardie novecentesche trovano un felice connubio e un ordine rigoroso per mezzo di un contrappunto severo ma mai pedante. Autore di partiture sinfoniche, teatrali, corali e cameristiche, Bettinelli ha attraversato, nella sua produzione, una fase neoclassica, con influenze da Stravinskij, Hindemith, Bartók, per poi sperimentare i principi dell’atonalità, della dodecafonia fino a spingersi all’aleatorietà. Il programma prosegue con pagine del più “classico” tra i compositori romantici: Felix Mendelssohn-Bartholdy, con il “Concerto in re minore per violino e arch”i, scritto nel 1822, da un ragazzino appena tredicenne ma geniale quanto Mozart. Questo Concerto – da non confondere con il più celebre in mi minore op. 64 dello stesso autore – venne alla luce soltanto nel 1952, per opera del grande Yehudi Menuhin, che ricevette il manoscritto da un discendente di Mendelssohn. La partitura è ricca di invenzioni tematiche e passaggi virtuosistici tuttavia, più che tensioni e scontri, gioca su morbide transizioni e tenui accostamenti tra una sezione e l’altra, quasi un omaggio alla poetica di Schubert. Ha concluso il concerto il “Quartetto n. 14” proprio di Franz Schubert (La morte e la fanciulla) nella trascrizione per orchestra d’archi effettuata da Gustav Mahler. Schubert adattò la melodia di un suo precedente Lied, La morte e la fanciulla, come movimento lento del suo quattordicesimo quartetto. Decenni dopo, affascinato dalla purezza melodica e dall’abilità compositiva, Mahler lavorò su quello stesso quartetto approntando una versione per orchestra d’archi, volta a comprendere e introiettare la purezza del linguaggio schubertiano. Mahler rispettò e lasciò intatta la felicità melodica e l’aura venata di malinconia del capolavoro di Schubert, investendo però il brano di un nuovo peso drammatico, profondamente contemporaneo.

Davide Antonio Bellalba 06/04/2018

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