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“Ricostruire” dai cantautori della vecchia guardia: il percorso di introspezione di Giacomo Lariccia

Lug 27

Bisogna arrendersi, prendere tempo e chiudere gli occhi: “Ricostruire”, uscito l'11 marzo 2017, non urla in nessuna delle sue 11 tracce per circa quaranta minuti di ascolto. Giacomo Lariccia canta e sussurra ma senza pedanteria, è un cantautore "della vecchia guardia" nonostante l'età (classe 1975). Sarà che è lontano dalle ultime mode italiane, vive a Bruxelles. Sarà che è guidato dall’esempio di De Gregori e Fabi. Certo, il suo non è un album per tutte le circostanze. Le atmosfere sono intimiste e il testo mira alla poesia, eppure sa dipingere sempre un’idea precisa.Lariccia02
Ricostruire” è anche una traccia che cresce piano piano, dando a intendere dai primi secondi un’apertura di speranza. Forse non c’è verità assoluta, forse la frammentazione si estende a ogni possibile momento della vita: “quante volte dovrò ancora ricominciare / quante volte dovrò tutto ricostruire?” - si chiede - ma la sua voce ha raggiunto una certa calma e una pulizia che non sfociano mai nella disperazione, ma in consapevolezza e accettazione. Un cantautore maturo.
Anche in “Quanta strada” Lariccia sa prendersi una lentezza fuori moda, delicata, si focalizza su minuscoli dettagli e ricordi, sembra rivolgersi a se stesso, e di norma questa è una buona soluzione per mantenere una sincerità che l’ascoltatore sente e sa comunque apprezzare.
Una certa “leggerezza” negli arrangiamenti non manca però di farci intuire la profondità della sua formazione. Pochi strumenti, sempre misurati, nessuno diventa protagonista sull’altro: chitarra, piano, basso, percussioni, qualche fiato. Lariccia03E poi, immancabile, l’amore a fare capolino: in amore non c’è teoria / troppe variabili(da "Amore e variabili"). Un nichilismo necessario a costruire qualcosa senza incappare nei soliti errori grossolani dati da troppo istinto e poco savoir faire dell’esperienza. Sembra una messa solenne, in cui si dichiara morta ogni argomentazione valida sul sentimento, ma una presa d’atto che si alimenta insieme alla voce, che cresce con l’intensità degli strumenti di accompagnamento. In “Celeste” si parla di una pazza, della storia – la Seconda Guerra Mondiale e il ghetto ebraico - e si citano Trastevere e le strade di Roma, che sembrano ora dei sogni sbiaditi, delle vecchie fotografie un po' commoventi, perché appartenenti a un tempo che non esiste più, insieme al dramma di quella guerra, passata, lontana, adesso carica di ammonimenti. 
Senza farci del male” è forse la canzone più in linea con le melodie del mainstream, è immediata e sa di estate; chitarre che suonano insieme e cori spensierati, seppure parli di una relazione da correggere e riconquistare: “avevo gli occhi chiusi e tu una grande ferita”. 
Nel disco non ci sono colpi di scena, in questo è un esperimento coraggioso e cosciente di se stesso. L’ultima traccia “Solo una canzone” è forse la dichiarazione d’intenti, o un’auto-critica: “non ho grandi pretese / come il buonumore / sono senza grossi affanni / come il battito del cuore / non uso paroloni / o frasi col blasone / son solo una canzone”. Un risvolto negativo potrebbe farci pensare che Lariccia si “ripieghi su se stesso”, si "nasconda", quando un ambiente intimista riesce a catturare solo ristrette nicchie che hanno bisogno di nutrirsi della stessa riservatezza. Le tracce mancano forse di quel carisma a cui oggi siamo un po’ assuefatti, che cerchiamo quasi disperatamente per calarci da subito in una emozione, un po’ incapaci di andarla a cercare con perseveranza e pazienza, presi da sovrabbondanza di stimoli e poco silenzio materiale e mentale.
L’album di Lariccia ci chiede uno sforzo in più, ma è un invito che in certe serate solitarie, o per un sottofondo raccolto, può essere ben accolto. Ci si aspetta ancora più personalità e coraggio per uscire dalle proprie nicchie, per parlare ancora a più persone – se la cosa stesse a cuore - nel prossimo lavoro. Resta un album da artigiano della musica che non si è piegato a nessuna moda italiana presente, salvo forse a qualche maestro precedente.

Agnese Comelli 27/07/2016

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