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La volpe, l'upupa e altri animali: il "Bestiario Musicale" di Lucio Corsi

Mar 09

La civetta, la lepre, la volpe, l’upupa. Ma anche il lupo, l’istrice e il cinghiale. Senza dimenticare la lucertola. Il giovanissimo Lucio Corsi, sguardo efebico, due occhi grandi e una voce tenera e discreta, ci introduce nel suo Schermata 2017 03 09 alle 19.35.44bosco fantastico e surreale. Il suo ultimo album, "Bestiario Musicale", uscito lo scorso gennaio per Picicca, è un canzoniere dedicato alla fauna delle nostre campagne, spesso oggetto di favole, superstizioni, miti e leggende legate alla tradizione dei nostri avi, narrati la sera, dopo il lavoro nei campi, davanti al focolare acceso. Ventitré anni appena, Corsi è cresciuto a Vetulonia, una frazione di origine etrusca in provincia di Grosseto che conta appena 250 anime. Tra le colline della maremma, fitte di vegetazione, a non molti chilometri dal Tirreno, si tramanda una tradizione orale antichissima, semplice ma preziosa, oggi purtroppo a rischio estinzione. Da questo ambiente il giovane cantautore toscano ha ereditato la passione per le storie, accompagnate dagli scarni arpeggi dell’inseparabile chitarra acustica o dalle note del pianoforte.

Lucio Corsi si è fatto notare nella scena indipendente italiana due anni fa, con la pubblicazione di "Altalena Boy" e "Vetulonia Dakar", ep usciti sempre per Picicca, la piccola etichetta indipendente creata nel 2011 per volere di Dario Brunori aka Brunori Sas. Canzoni semplici, dai testi ingenui e surreali, ma già personalissimi e maturi per un ragazzo di vent’anni. C’era la malinconia di Lucio Dalla, la passione per le favole di Edoardo Bennato e l’affabulazione un po’ decadente de Le luci della centrale elettrica. Ma Lucio Corsi aveva già trovato una propria voce, sospesa tra la realtà e il sogno, tra la verità e la fiaba. "Bestiario Musicale" è un’opera più matura e ancora più candida, dove il cantautore toscano si sbarazza di alcuni temi ricorrenti tipici dei nuovi cantautori indie italiani, trovando uno stile unico e nuovo. Più studiati anche gli arrangiamenti, degni di un Sufjan Stevens de’ noantri. Nelle otto tracce non si parla della stanca quotidianità del mondo reale, di relazioni frantumate o di depressione cronica post-adolescenziale. E non viene mai, mai, detta una sola parolaccia. Lucio Corsi, che in occasione del lancio ha pubblicato sul suo sito otto magnifici audio racconti, ci trascina nel suo strano universo, come un folletto dei boschi, o un buffo marziano cantastorie. Che ha deciso di condurci per mano in un concept su otto animali tipici della sua zona, con un lirismo giocoso e teneramente inattuale.

Si parte con l’elegia notturna dedicata alla civetta, «diavolo salito in terra ricoperto di piume». Una canzone leggera e spensierata, che rimanda poeticamente a superstizioni antiche e detti ancestrali: «Dicono che sei più o meno la sirena del bosco / Il gatto nero nel cielo di notte». Nel singolo "La lepre", che si richiama a un’antica leggenda, Corsi immagina la delusione degli astronauti nel constatare che quel piccolo animale, «con un salto da mezzanotte in su», è già arrivata prima di loro sul nostro satellite: «Houston, che sfortuna / siamo arrivati tardi, c’è una lepre sulla luna». Segue poi "La volpe", splendida filastrocca accompagnata dal pianoforte, e "L’upupa", animale furtivo e notturno per eccellenza, che «canta allegra le sue origini di zebra / e se ne frega di chi la vede come un male / di chi la vede come un ponte fra il mondo dei vivi e il mondo dei morti». Come un ammaestratore premuroso, Corsi dà voce ai suoi animali, li prende in giro e li difende, con quel viscerale affetto che si ha per la madre terra. Nel trillante vaudeville al pianoforte dedicato al lupo, capovolge con sarcasmo il tipico detto con cui ci si augura che crepi: «spero che viva per centoventi, spero che viva per mille anni!». Malinconica e poetica l’ode all’istrice, animale criptico e chiuso per eccellenza («Se la bellezza dei fiori non fosse nei petali ma nelle spine / vi darebbero la caccia i bracconieri»), più scherzosa quella dedicata al cinghiale. Ultimo brano del concept, il brevissimo La lucertola, caratterizzato da uno divertito spoken word di Lucio: «E poi mi direte: “Ma che delusione, noi i draghi li volevamo più grandi, più cattivi, brutti, volanti...”».

Lucio Corsi è da tenere d’occhio. Con profonda umiltà e tenerezza d’altri tempi, ci introduce in un universo dolce e nostalgico, che ricorda le storie dei nostri nonni, sussurrate prima che, bambini, iniziavamo a sognare. Nei suoi versi c’è gioco, lirismo, fantasia, scherzo, ma anche contemplazione della natura e uno spiccato attaccamento alla tradizione, di certo insolito nelle nuove generazioni. La poetica di Lucio è del resto riassunta nella copertina dell’album, realizzata dalla madre e simile a quella di un libro d’infanzia: in un prato di campagna verde pastello, sono dipinti un pianoforte e una chitarra circondati dagli otto simpatici animali protagonisti del Bestiario. Nessuna retorica, nessun artificio: solo la musica e le parole di un cantautore sincero e di puro talento. Come si dice, il ragazzo farà strada.

Michele Alinovi 11/03/2017

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