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Ciajkovskij Festival, Gergiev al Parco della Musica: sogni d’inverno e sogni d’Europa

Gen 16

Si conclude il 16 gennaio all’Auditorium Parco della Musica di Roma la serie di sei incontri del Festival Ciajkovskij. L’occasione si è rivelata propizia in questo inizio di 2018 per una celebrazione non solo del compositore russo per eccellenza, ma anche di una delle bacchette russe più apprezzate: Valery Gergiev ha diretto l’orchestra e il coro di Santa Cecilia (nella “Iolanta”, 11-12-13 gennaio) e l’orchestra del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo di cui è direttore (nelle sinfonie, 14-15-16 gennaio).
Gergiev ha definito Pëtr Il'ič Ciajkovskij europeo autentico e autentico russo, acuto conoscitore della tradizione musicale italiana, francese e tedesca. Non è un caso, quindi, che il concerto di domenica 14 gennaio sia stato incluso nella cerimonia di apertura del festival “Le Stagioni Russe”, un anno all’insegna della promozione e della divulgazione dei miti dell’arte russa in giro per la penisola. Salgono sul palco a dare il benvenuto al pubblico la vicepresidente del Governo della Federazione Russa Olga Golodets, il sovrintendente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia Michele dall’Ongaro, il sottosegretario Maria gergievElena Boschi. Al centro della platea anche un ospite d’eccezione: il presidente emerito Giorgio Napolitano.
Se la cornice è europea, il gusto delle prime due sinfonie presentate appare 100% made in Russia. Il rigore formale e tecnico dei maestri dell’orchestra ospite diventa creta nelle mani febbrili del Maestro Gergiev, che li dirige senza l’ausilio della partitura in una meticolosa ed intimistica ricerca della sonorità perfetta. La Sinfonia n. 1 (“Sogni d’inverno”, 1866), composta da un Ciajkovskij venticinquenne, conduce il pubblico lontano dal caldo e vibrante legno della Sala Santa Cecilia e lo accompagna in una distesa innevata dove si riflettono tutti i colori della luce, ricreati da scelte timbriche e melodiche di gusto popolaresco e fiabesco. Nella Sinfonia n. 6 (“Patetica”, 1893), si apprezza la complessità espressiva del compositore maturo che qui consegna il suo testamento spirituale. Morirà nove giorni dopo la prima esecuzione. Due adagi racchiudono lo slancio vitale degli allegri del secondo e del terzo movimento, grazioso e instabile valzer in cinque tempi l’uno, scherzo dall’incalzante ritmo napoleonico l’altro. Una volta cessati i tempi trionfanti dell’ “Allegro”, Gergiev prolunga un profondissimo pizzicato dei contrabbassi fino al raggiungimento di un silenzio che fa risuonare la sala di Renzo Piano e il respiro – giustamente sospeso – di un pubblico incantato.

Alessandra Pratesi 16/01/2018

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