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"Ci hanno fregato tutto": il ritorno incolore di Olden

Lug 29

La musica italiana è viva. A detta di qualcuno più che mai, difficile dirlo, ma l’importante è che comunque respiri. E che lo faccia a pieni polmoni lo dimostrano, per esempio, i recenti cinquemila spettatori all’Ex Dogana per Carl Brave x Franco 126 e il pienone per Motta a Villa Ada. I nostalgici dei bei tempi andati in cui la musica italiana avrebbe vissuto i suoi irripetibili anni d’oro hanno due chance: nascondersi dietro il dito del ricordo o arrendersi al fatto che c’è tutta una serie di artisti capace di intercettare lo spirito del nostro tempo.
Non è però tutto oro quello che luccica. Fermento e ristagno possono coesistere, e “Ci hanno fregato tutto” di Davide Sellari, in arte Olden, ne è un po’ la dimostrazione. Nove brani, per un totale di 33 minuti, in cui il cantautore perugino ce la mette tutta, e spesso sembra essere a un passo da un buon risultato, ma non riesce mai ad arrivare dritto alla pancia o al cuore di chi ascolta, per varie motivazioni.
Non ti credo”, il brano d’esordio del disco, per esempio, è un’invettiva contro un certo modo borghese di concepire la vita e di comportarsi, contro la superficialità di chi sempre premia l’esteriorità a discapito del contenuto. Alla tematica forse non proprio inedita del testo è abbinato un arrangiamento molto “tradizionale”, in cui chitarra elettrica e batteria spiccano in quello che sembra un “motivetto rock”. E il disco, musicalmente, può essere tutto inquadrato in quest’ottica: un pop rock che spazia Olden2da arrangiamenti vagamente più punk (“Ma non sarebbe stato meglio”, “È tutto tuo”) a –soprattutto – ballad che sembrano essere perfette per un live solo pianoforte e voce (“Pianeta rosso”, “Vacanza breve” e “Gli stessi sorrisi di sempre”).
“Questo album sarà la mia versione del nostro piccolo mondo - ha scritto Olden parlando al suo pubblico - di come stanno andando le cose, di quello che non c’è più e di quello che ci resta”.
Se l’intento era quindi scattare un’istantanea dell’oggi, il disco non pare assolvere nemmeno a questo, perché ha un difetto strutturale fondamentale: non è chiaro a chi parli. Olden sembra confusionario nell'individuare un referente, e questo album si rivolge ai suoi coetanei (quarantenni), ma contemporaneamente strizza l’occhio a un pubblico più giovane che non riesce mai a rappresentare e quindi catturare, per tematiche e sonorità. Le prime, tra denuncia sociale, sfogo personale e indagine interiore, non sarebbero di per sé un impedimento oggettivo al raggiungimento di un uditorio più giovane (per quanto comunque in assoluto non colpiscano, non si ha mai la sensazione di ascoltare qualcosa di nuovo), sono gli arrangiamenti vecchio stampo a togliere appeal.
In questo pot-pourri di arrangiamenti e testi troppo uguali a troppe canzoni per essere ricordati (sembra di ascoltare un concentrato di pop italiano con Fabrizio Moro e qualche spunto alla De Gregori, senza mai però raggiungere la “forza” di nessuno degli artisti citati) ciò che sempre si salva è la voce di Olden, che nelle nove tracce sa essere camaleontica, intimista e dinamica, sempre piena e piacevole, ironica in “Gianni”, riflessiva in “Vacanza breve” e arrembante in “Ma non sarebbe stato meglio?”.
Già, Olden, ma non sarebbe stato meglio osare di più? Magari sperimentare maggiormente dal punto di vista musicale, proporre qualcosa che, piaccia o meno, possa comunque destare curiosità per l’originalità? Fare un disco non è cosa semplice, soprattutto dal punto di vista economico (tanto che Olden ha chiesto una mano ai suoi fan e ha raccolto 2.307 €) e il fatto di esserci comunque riuscito rappresenta un valore in sé. Certo è che farne uno così potrebbe essere artisticamente deleterio.

Alessio Altieri 30/07/2017

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