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“Dopo Pasolini” al Teatro India: amare, mangiare, riflettere col teatro delle Ariette

Mangiare non significa solo nutrirsi, ma entrare in empatia con se stessi, con gli altri e col cibo che riporta al piacere della convivialità. A tavola dialoga la famiglia, si festeggiano i compleanni, si incontrano gli uomini politici e d’affari. A tavola, seduti gli uni di fronte agli altri, con il proprio volto e la propria individualità, i commensali condividono i beni della terra, celebrano i loro rapporti più significativi, risolvono i conflitti e le alterità col mangiare insieme. Non è un caso che il termine “compagno” derivi proprio dal latino “cum-panis”, cioè “dividere il pane con”, inteso come un atto pratico e simbolico che veicola amicizia, confidenza, intimità. Certo, una volta, le feste conviviali della civiltà contadina, erano un po’ il prolungamento della forma collaborativa del lavoro, il momento di distensione e riposo dopo le fatiche nei campi. Oggi tutto questo è scomparso: sono venuti meno gli incontri conviviali, il cibo ha perso la sua natura relazionale, è diventato una realtà anonima, funzionale alla vita e al piacere di mangiare. E dove manca la condivisione del cibo, subentra il senso di distacco sociale, di distanza, di esclusione.dopopasolini2
Nel panorama del teatro italiano esistono però esperienze che hanno trasformato la convivialità del mangiare insieme in forme di espressione artistica autonome, recuperate dalla cultura dimenticata della terra. Dove, entrando in squarci di mondo ricostruiti in aperta campagna, l’accoglienza riservata agli ospiti/spettatori è quella di chi si conosce da tempo, di chi ha condiviso storie, lacrime e sorrisi, come si fa tra amici, davanti a un piatto di spaghetti o a un bicchiere di buon vino. Con questi presupposti, vent’anni fa ha preso vita il Teatro delle Ariette, fondato nel 1996 da Paola Berselli, Stefano Pasquini e Maurizio Ferraresi. Il loro nome deriva da quello del podere abbarbicato sui colli bolognesi in cui Paola e Stefano si trasferirono nel 1989, a Castello di Serravalle, Valsamoggia. Un ritorno alle cose semplici, alla genuinità della terra, al grado zero del teatro, per allontanarsi dal palcoscenico di un’umanità percepita come estranea, sempre più oppressa dai falsi miti della velocità e del consumismo moderno. Lì Paola e Stefano hanno presentato i primi spettacoli, in totale autogestione e autofinanziamento, alternando la pratica teatrale al lavoro in campagna, ospitando artisti e compagnie in case e luoghi non teatrali della zona, recuperando miti e riti dove la comunicazione tra natura, bestie e uomini è vissuta in maniera totalizzante. Dal giugno del 2001, col “Teatro da mangiare?” hanno cominciato a girare l’Italia e l’Europa, finché la loro si è trasformata a tutti gli effetti in una compagnia di produzione professionale, pur senza abbandonare la vocazione originaria. Da allora non si sono più fermati: riproponendo vecchi spettacoli, producendone di nuovi, ma restando sempre fedeli all’idea di un teatro di vita e di emozioni, che proviene dall’amore, dalla fatica, dalla memoria. Facendo riflettere, commuovendo, con le loro storie intime e delicate, a metà tra realtà e finzione, i fortunati spettatori accorsi a vederli. Al Teatro India di Roma, dopo il loro “Teatro da mangiare?” per pochi commensali, banchettato sul palcoscenico dell’Argentina ad inizio stagione, sono tornati col rito intimo “Dopo Pasolini”, che intreccia emozioni dai precedenti lavori col vissuto della malattia e della morte della mamma di Paola, e la creazione autobiografica “Sul tetto del mondo”. Due quadri che restituiscono frammenti di civiltà, di umanità, di festa, per raccontare la passione per la terra, il recupero di antiche tradizioni legate alla natura, la memoria di dolorosi ricordi familiari attraverso la morale pasoliniana della “Terra vista dalla luna”, il mistero dei dopopasolinigesti e delle parole di due spaventapasseri piantati sul colle più alto della vallata per raccontare il tempo dei sogni.
In “Dopo Pasolini” (andato in scena dal 17 al 22 maggio) una figura femminile dagli occhi stralunati (Marta Moricone) prende per mano i sei spettatori per condurli nel luogo in cui è installata una roulotte abbandonata ai confini del tempo. Fuori, nello spazio veranda senza tetto, tante luci, tanti ombrelli colorati, una tavola imbandita per otto persone e, ad attenderli, un uomo in frak (Maurizio Ferraresi) seduto davanti a un fiasco di vino, salame, pane e formaggio. Invita gli spettatori ad accomodarsi, li fa sentire a casa propria, offre loro da mangiare nell’atmosfera gioviale e rilassata di una festa di compleanno. Dentro, tra foto di famiglia e vecchi ritagli di giornale appesi al soffitto, una coppia intenta a guardare “Il Vangelo secondo Matteo” di Pasolini. Lui è seduto immobile, paralizzato, lo sguardo fisso allo schermo; lei è occupata a rinfrescargli la fronte e le labbra, a preparargli una minestra calda, a frizionargli la schiena con oli profumati, a vestirlo. I suoi gesti sono lenti, calmi, rallentati dall’abitudine di un rito, quello della cura dell’altro, che si ripete uguale a se stesso ogni giorno. Stanno mettendo in gioco il loro amore, la morte, la malattia, l’effimero della nostra vita, sul tempo scandito dalle immagini del film. Gli spettatori ne percepiscono la fragilità di esseri umani e, al tempo stesso, l’intensità lirica. Come quando le guance di lei si rigano di lacrime, la calma iniziale diventa isteria e la declamazione dei versi messianici dalle pasoliniane “Poesie in forma di rosa” («Vengo dai ruderi, dalle chiese, / dalle pale d’altare, dai borghi / abbandonati sugli Appennini o le Prealpi, dove sono vissuti i fratelli...») diventa grido di dolore, paura, rassegnazione. Almeno finché la stretta di un abbraccio salvifico, come quello tra Maria e il Cristo morente, placa la sofferenza nella serenità del silenzio.

Valentina Crosetto 27/05/2016

Per la recensione di “Sul tetto del mondo”: https://www.recensito.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=14986:due-spaventapasseri-innamorati-sul-tetto-del-mondo&Itemid=121 

Leggi l'intervista alle Ariette: https://www.recensito.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=14988:il-teatro-umano-delle-ariette-intervista-a-paola-berselli-e-stefano-pasquini&Itemid=145

 

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