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The People V. OJ Simpson: una tragedia americana

“An American Tragedy”: così il Time titolò una delle sue edizioni più famose, tristemente famose. Il volto di Orenthal James Simpson, da poco incarcerato per l’accusa di omicidio della moglie Nicole e di Ronald Goldman, campeggiava in copertina, nerissimo, più nero del dovuto. È storia nota che i giornalisti del Time scurirono la pelle del campione di football, rendendo quella copertina un’eco del pericoloso rigurgito razziale che la società americana, in particolare la città di Los Angeles, attraversava in quegli anni. Era il 1994, ma i fatti di Madison del 2014 (un poliziotto bianco sparò e uccise un giovane 19enne nero e disarmato, omicidio cui fecero seguito numerose manifestazioni della comunità afroamericana) e la recente campagna dichiaratamente razzista del candidato repubblicano Donald Trump, rendono la serie della FX American Crime Story: The People V. OJ Simpson un brillante spaccato della mentalità americana media, stagnante ora come allora. Tratta dal romanzo dell’avvocato Jeffrey Toobin The Run of His Life: The People V. OJ Simpson, la serie è una riflessione a posteriori su uno dei più incredibili casi di cronaca giudiziaria del secolo scorso e approfitta del “senno del poi” per spingersi oltre, per strizzare l’occhio a noi spettatori moderni su una questione spinosa come la fama che scaturisce dalla cronaca nera. Noi italiani non siamo nuovi a “celebrità” di questo tipo, ma gli americani fanno sempre tutto più in grande.simpson OJ Simpson non era un semplice giocatore, era The Juice, il sogno americano concretizzato, tangibile, reale. Un ragazzo nero del ghetto arrivato in cima all’Olimpo. La sua caduta era quella di un dio, la sua storia una tragedia che raccontava il volto peggiore del più grande paese del mondo. Ai danni della memoria di Nicole Brown e del dimenticato Ronald Goldman, barbaramente uccisi a coltellate mentre i figli di Nicole e OJ dormivano in casa. E sebbene, come sappiamo, OJ fu scagionato da ogni accusa, le prove della sua colpevolezza erano più che evidenti. Sembrava quasi che OJ Simpson volesse essere accusato ed è quello che la serie vuole suggerire, affidando il suo ruolo a un bravissimo Cuba Gooding Jr, che rende questa divinità in disgrazia un personaggio spaccato in due, scosso da turbe psichiche che oscillano tra il dilaniante senso di colpa e il delirio di onnipotenza. Altri membri del cast, un sorprendente John Travolta nel ruolo di Robert Shapiro, l’avvocato capo del dream team che salvò OJ, Courtney B. Vance che interpreta Johnnie Cochran, Sarah Paulson nei panni di Marcia Clark (avvocato capo dell’accusa) e un redivivo David Schwimmer (più noto come Ross in Friends) nel ruolo di Robert Kardashian, amico di OJ e suo avvocato.
La questione razziale fu la leva che la difesa usò per scagionare Simpson, insieme a un sapiente utilizzo del potere della celebrità. La serie mostra, con un ironico e crudele cinismo, come moltissimi americani divennero avvoltoi, pronti a sbranare ogni brandello di fama dalla vicenda. Libri, interviste, apparizioni televisive: gli amici, i parenti, i conoscenti alla lontana della famiglia Simpson si inebriarono della vicenda, sprofondando nel grottesco, abbandonando ogni senso del pudore. Si assiste a un vero e proprio fenomeno di psicosi, una “tragedia greca in diretta televisiva”. Sembra quasi che l’accusa verso OJ non sia l’omicidio, ma il suo diritto ad annoverarsi ancora tra gli dei americani. La scrittura della serie è esemplare: ogni personaggio che orbita intorno alla figura di OJ viene toccato da quest’aura di potere, di fama, di notorietà e tutti devono fare i conti con le conseguenze, positive e negative. Ha un bel dire Kato Kaelin (interpretato da Billy Magnussen), amico di OJ, anche lui sfiorato dalla celebrità: “la fama è complicata”. Complicata perché in grado di toglierti ogni cosa, ma anche di regalarti il mondo per puro capriccio. Chi non capisce queste assurde regole è tagliato fuori. È stato forse questo l’errore dell’accusa, il considerare il caso Simpson troppo facile per essere perso. Non avevano fatto i conti con chi comprende e usa a proprio vantaggio lo straordinario potere della fama.
Piccola nota divertente: Robert Kardashian è il padre delle ormai più famose Kim & Co., un esempio calzante di fama tanto straordinaria quanto ingiustificata. Ci sono anche loro, nella serie. Kim, Kourtney, Kloe e Robert, bambini ma già ben storditi da una fama che per il momento è ancora di poco conto. La serie li prende in giro, ci fa ridere, ma vuole ancora strizzare l’occhio, vuole ricordarci come è andata a finire. Perché la grande forza (e la grande scommessa) di ACS è proprio quella di raccontare una storia di cui già conosciamo il finale. Non è importante come è iniziata, ma come tutto ebbe inizio.

Giuseppe Cassarà 23/05/2016

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