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Andrea Kaemmerle tra malinconia e comicità: gli spettacoli di fine agosto di Utopia del Buongusto

Andrea Kaemmerle ha la mimica da attore muto e i colori di un fumetto. Capelli sparati in aria, sguardo languido, sorriso aperto e schietto. Porta in scena personaggi ai margini, sopravvissuti alla vita grazie all’ironia o all’arte di arrangiarsi, quella sorta di disperazione che consuma lo stomaco e i sentimenti; personaggi beffardi, logori, sporchi ma leggeri. Gli stessi che hanno animato “Cabaret mistico” e “Odore di mare”, i due spettacoli del fine agosto di Utopia del Buongusto.
Il primo è un vis-à-vis con un pubblico eterogeneo, un monologo interattivo, simbiotico, in costante mutamento, carico di energia, poesia e sarcasmo. Kaemmerle dà voce al suo alter ego, il clown-soldato Svejk, per sviscerare la natura dei sentimenti umani, attraverso aneddoti e storie originali, spesso ciniche. Con un accento slavo calibrato e convincente, l’attore fiorentino si muove, sul piccolo palco, un po’ con la finta gigioneria da circense di strada, un po’ con un passo felpato da gatto sornione. Ammalia, diverte, avvolge, con il volto truccato di bianco e il naso dipinto di rosso; si siede con il pubblico, dalla parte del pubblico, scherzando, in maniera irriverente, sullo stesso ruolo dell’attore, sulla piccolezza dell’uomo, sulla politica italiana: una confessione collettiva (mistica appunto) celata dietro a facili risate.
Lo stesso tono dissacrante, ma ancora più profondo, percorre tutto “Odore di mare”, giunto al terzo anno di vita. La rocca di Santa Maria a Monte, con la sua struttura fasulla e d’impatto sconcertante a coprire e ristabilire i confini di una basilica che non c’è più, si trasforma in un ponte perfetto di una nave da crociera. La scenografia è minimale – un salvagente appeso alla “prua” – basta il posto a far crescere l’immaginazione: ringhiere bianche, assi di legno (scollate) a terra, pensiline verde mare. Gli spettatori (solo 60 a sera, per le quattro repliche consecutive) vengono accolti a suon di “Profumo di mare” da un capitano/chef di bianco vestito che, in un divertente accento francese (camaleontico Kaemmerle), spalanca gli occhi ai presenti su una Marsiglia tutta luci e godimento.
La drammaturgia prende le orme delle parole di Jean Claude Izzo e la forma dei ricordi dello stesso attore, dando allo spettacolo una struttura dicotomica, come lo è lo stesso porto francese e il mare: generoso e implacabile, sicuro e imprevedibile, accogliente e distruttivo. Dall’aperitivo di benvenuto servito sul ponte, si viene segregati in una cambusa logora e vissuta, covo di un marinaio derelitto, emarginato, rabbioso e rassegnato – un Kaemmerle in tuta blu da operaio e la mascella serrata di chi lotta, affannando, contro il mondo intero. Marsiglia assume presto altre sfumature immaginifiche, prendendo le sembianze della disperazione di un uomo che ha perso tutto per seguire il mare e l’istinto che a esso lo lega, da sempre, moderno Ulisse senza dimora. Sta rintanato, espiando una colpa autoinflitta, dissipando la suola di una dignità consumata, e da quel buco vede enormi navi che arrivano e ripartono senza sapere niente dell’elemento che le porta, ospita momentaneamente (mentre gli artificieri verificano l’allarme bomba lanciato) orde di turisti inconsapevoli e con essi rivive un passato lacerante, schiavizzante.
Lo spettacolo viaggia su molteplici livelli di senso, denuncia il turismo di massa e la massificazione delle volontà, mette insieme disoccupazione, sopravvivenza, amicizia, lealtà, in un malinconico dialogo con il virtuoso chitarrista Andrea Barsali, che, seguendo i fili della rete del protagonista, omaggia De Andrè e il legame profondo con il mare. Alla fine siamo pronti a partire, ma meno sicuri, con un’ombra netta sul cuore che faticherà ad andarsene, persi tra le risate forzate e le lacrime celate del marinaio, ormai neanche più capitano di se stesso.
Andrea Kaemmerle ha la capacità rara di tirare fuori il meglio della toscanità, mai sopra le righe, mai eccessivo, ma sempre incisivo ed empatico. Le sue narrazioni sono viaggi aperti a tutti, che si muovono sui binari di riso/sorriso e nostalgia, senza distinzione tra andata e ritorno. È lui il padrone di casa, il capotreno, il macchinista, il condottiero: ci prende per mano, professionista ed essere sensibile e attento, ma ci fa strada tra una carezza e la giostra del calcinculo.

Giulia Focardi 02/09/2015

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