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"Nessuno ci può giudicare": il docu-film di Steve Della Casa

La Storia è ciò che ha avuto un impatto rilevante nella società, quindi tutto ciò che non viene dimenticato e rimane negli anni. La Storia è quel bagaglio che ci si porta appresso e con cui non si smette mai di fare i conti. La Storia è inevitabilmente fatta dagli uomini. Partendo da questo presupposto, si può facilmente affermare che anche la musica è Storia. E nel docu-filmNessuno ci può giudicare” di Steve Della Casa (capofila tra gli esperti di “musicarelli” italiani anni ‘60) e Chiara Ronchini (giovane montatrice), è proprio la musica a fare da protagonista: le sonorità rock italiane degli anni Sessanta, il “beat” che è stato la colonna sonora di anni rivoluzionari, che ne ha permeato il corso e ne ha condizionato le scelte. Presentato nella sezione Festa Mobile, al 34° Torino Film Festival, “Nessuno ci può giudicare” arriva a Roma il 7 giugno 2017 al Cinema Farnese.

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Il lungometraggio celebra l’impatto che ebbero non solo il rock italiano ma anche i film “musicarelli” sui cambiamenti radicali del decennio degli anni ‘60/‘70. A metà anni Sessanta, infatti, il consumo giovanile della cultura era un fenomeno così significativo da anticipare la contestazione che sarebbe poi esplosa nel Sessantotto. Nell’Italia del secondo dopoguerra e del miracolo economico, il cinema continuava a essere il divertimento preferito degli italiani nonché lo specchio vero dell’Italia che cambiava. I film musicali hanno dato vita al fenomeno dei “musicarelli”: un momento del costume e dello spettacolo italiano sospeso tra vecchio e nuovo, fra l’antico teatro di rivista e il boom della cultura televisiva; tutto condito dalla grafica allegramente pop di manifesti, locandine pubblicitarie d’epoca, che vedono per protagonisti prima gli "urlatori" (Celentano, Mina, Dallara...) e poi i cantanti beat (Pavone, Morandi, Caselli, Ricky Gianco, Gianni Pettenati di “Bandiera gialla”...). Nessuno03Gli stessi che, nella pellicola, attraverso interviste, lasciano una bella fotografia del nostro paese che passa da agricolo a potenza industriale e inventa un nuovo modo di divertirsi e al tempo stesso scopre il gusto della ribellione. Nel film ascoltiamo anche interviste di repertorio ai giovani di allora che raccontano un’Italia che si trasforma velocemente soprattutto nel contrasto generazionale e nella politica. I giovani, per la prima volta nella storia nazionale, possono essere indipendenti economicamente dalla famiglia e possono coltivare i loro gusti musicali, il proprio modo di vestire e di essere. Ecco che il cinema racconta puntualmente questo cambiamento, e l’Archivio dell’Istituto Luce, con la ricchezza dei propri materiali (interviste e filmati), lo segue passo dopo passo. Il film acquista così una certa agilità e si sviluppa in maniera rigorosa mostrando immagini che procedono incalzanti a ritmo di musica mentre una straordinaria leggerezza corre per tutta la sua durata.
Tra i protagonisti vi sono anche figure straniere; si pensi al cantante dei Rokes, Shel Shapiro (presente in sala assieme ai registi) il quale svela che quando arrivò in Italia vide la penisola in bianco e nero, ma nel giro di un paio d’anni ci fu un’esplosione di colori e di colpo il paese divenne colorato. Poi c’è Mal dei Primitives, che ricorda il viaggio avventuroso e squattrinato da Londra attraverso mezza Europa per rispondere alla chiamata romana. Non manca Piero Vivarelli, ex-repubblichino della X Mas, ma fiero di proclamarsi comunista, uno dei personaggi centrali nella nascita del “musicarello” anni ’60; ci rivela, oltre a come è nato il testo “24.000 baci”, di aver realizzato insieme a Fulci i primi film del filone, in bianco e nero, incentrati soprattutto sulla polemica contro l’Italia democristiana, ipocrita e perbenista cui si ribellavano - nei film - i giovani urlatori e rockettari d’epoca.
Insomma, un documentario che sviscera dieci anni di musica e cinema, dieci anni nei quali, come dice il regista torinese Della Casa, succede di tutto, ma soprattutto la cultura del mondo intero si confronta per la prima volta col mezzo della musica, il primo linguaggio comune che si crea tra i ragazzi; con questo cerca di cambiare il mondo e ce la fa, senza guerre e anzi, contro le guerre. Quei giovani dell’epoca potrebbero dire oggi: "Nessuno ci può giudicare nonostante gli sbagli perchè, grazie alla musica fattasi narrazione più complessa, è stato costruito un pezzo importante di Storia". E quel periodo va ricordato come se fosse un motivo da canticchiare ancora.

Penelope Crostelli (09/06/2017)

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